Il Pd Roma prova a ripartire unito dopo gli stracci volati in segreteria e sceglie una parola d’ordine che pochi, oggi, tra i dem considerano ancora la strada maestra: primarie.

Primarie per scegliere il candidato minisndaco nel municipio XI, primarie per eleggere il nuovo segretario in un congresso anticipato in primavera e soprattutto primarie per individuare chi tenterà la riconquista del Campidoglio. Riavvolgendo il nastro degli eventi, bisogna ripartire dalla direzione del partito capitolino del 14 novembre scorso: il segretario Andrea Casu, su cui pendeva un tentato golpe della componente zingarettiana, ha deciso di non dimettersi e scelto la strada del mezzo passo indietro «di tutti».

La sua segreteria “renziana” nata con il 57% dei consensi nel 2017 è diventata una «segreteria unitaria», in cui sono entrati membri della minoranza. Poi ha proposto una roadmap concertata: riduzione del debito del partito ( ultima notizia è la cartella esattoriale di 1,2 milioni di euro); conferenza programmatica a gennaio; Stati generali di Roma 2021 a febbraio e poi, in primavera, congresso straordinario di pacificazione interna. A questa scansione hanno aderito gli zingarettiani, votando alla quasi unanimità la mozione del segretario che fino a poco prima volevano sfiduciare e dunque accettando di non provocare ulteriori smottamenti alla segreteria. Operazione riuscita e Casu saldo in sella, ma sotto tutela.

Il nodo vero, tuttavia, rimane uno: troppo facile riperre “Basta Raggi”, più complicato individuare il nome destinato a correre per il Campidoglio. Il tempo corre e nel Pd Roma di profili non si è ancora mai parlato, come nemmeno di criteri. Se non, appunto, un accordo sul rilancio delle primarie. Del resto, oggi la capitale è un tale ginepraio che nemmeno il segretario nazionale Nicola Zingaretti si azzarderebbe a prendersi la responsabilità di una investitura. E, per ovvia importanza strategica della città, la segreteria romana non avrebbe legittimazione sufficiente ad assumere in autonomia una scelta del genere. Primarie, dunque, con due scenari molto diversi davanti.

Il primo, nel caso in cui si scelga un nome di area. Sul fronte femminile, la base dem apprezza la consigliera regionale Michela Di Biase, molto radicata sul territorio e schiva alle ribalte mediatiche, ma sostenuta da una corrente solida come quella del marito e ministro Dario Franceschini; Sabrina Alfonsi, potente presidente del Municipio del centro storico e zingarettiana storica o la sempreverde Marianna Madia, buona per tutte le stagioni anche se meno legata alla città.

Tra gli uomini, invece, i papabili portano nomi più pesanti: Roberto Morassut ( sconfitto da Roberto Giachetti alle primarie per correre contro Raggi) continua a battere palmo a palmo i municipi sul suo camper; l’urbanista e minisindaco del III Muncipio Giovanni Caudo, fresco di vittoria; e infine qualcuno continua a pensare anche a Paolo Gentiloni ( addirittura terzo alle primarie contro Giachetti) che oggi brilla del lustro da ex premier e commissario europeo. Improbabile, invece, la discesa in campo di Zingaretti.

La grande incognita di questo scenario però, rimane l’ipotesi C, il rutilante Carlo Calenda, che ha sempre negato di volersi caricare sulle spalle la capitale ma che, in fondo, torna troppo spesso ad attaccare Raggi per essere del tutto disinteressato. In questo caso, verrebbe da chiedersi se Calenda sarebbe disposto a passare sotto la scure delle primarie, pur di portare alla sua corte i dem romani. Soprattutto sapendo quanto nulla a Roma si muova sull’onda dello spontaneismo, ma come questi passaggi siano guidati da logiche locali di osservanza correntizia.

Il secondo scenario, invece, riguarda i 5 Stelle. L’ipotesi di accordo coi pentastellati è fantascienza nel caso di una ricandidatura di Raggi, ma diventerebbe percorribile - almeno per una fetta dei dem - nel caso di un «accordo civico per Roma», come si ripete in alcuni incontri. In questo caso, però, le primarie dovrebbero essere accantonate come lo sono state in Umbria ( con risultati non esaltanti). Intanto, una data per le primarie già è stata ipotizzata: il prossimo autunno, così da dare al candidato lo slancio di sette mesi di campagna a tappeto per arrivare a maggio 2021. Per sfidarsi, con buone probabilità, contro una delle due pupille della destra romana: Giorgia Meloni o la leghista ex An Giulia Bongiorno.