Il segretario del Pd a Bologna, metà campagna elettorale rinfrancata dalle sardine di piazza Maggiore, metà ambizioni di rilancio nazionale con lo sguardo rivolto a quella Bolognina che, giorno più giorno meno, trent'anni fa cambiò davvero le cose radicalmente per la sinistra italiana. L'ex segretario, oggi leader della neonata Italia Viva, a Torino con la promessa di fuochi artificiali extralusso sin dal titolo della kermesse: ' Shock'. Fragoroso ma va detto che anche i rivali bolognesi non scherzano: ' Tutta un'altra storia'. Allusione doppia. In parte agli anni ' 20 del secolo scorso, in spregio alla scaramanzia: non andrà come allora, stavolta fermeremo la destra. In parte al passato recente: ora si cambiano marcia e direzione, la risvolta è dietro l'angolo. Per certi versi l'elemento più sospetto è proprio quest'ultima promessa. Nel 1989 la svolta, per il bene e per il male, fu vera. Il cambio di nome del Partito comunista non era questione di cosmetica ma di radicale trasformazione politica. Da allora però, tra gli eredi dell'elefante rosso, la tendenza a cercare di risolvere i problemi con cambi di nome, di regole e statuti, con trovate come le primarie, cioè aggirando il vero nodo centrale che dovrebbe essere l'individuazione di un'identità politica netta e riconoscibile, è diventata una patologia. Anche in questo caso il ' pezzo forte' dovrebbe essere una modifica, peraltro contestata e dunque incerta, dello Statuto.

Nel mirino c'è soprattutto la regola che impone di fare automaticamente del segretario il candidato premier. Non si tratta di una questione di lana caprina. Di fatto quella norma era la chiave di volta del partito come concepito da Renzi, quello ribattezzato appunto Pdr: la modifica implica la scelta di chiudere una volta per tutte l'esperienza del partito del capo, e un po' tutte le modifiche proposte vanno infatti in quella direzione. Ma si tratta pur sempre di restyling: modifiche che parlano al corpo del partito, alla sua base, forse anche all'elettorato più fidelizzato, ma che al di fuori di quel perimetro non bastano certo a scrivere ' tutta un'altra storia'. L'ossessione per nomi e regole interne rinvia certamente a una più corposa, ma sin qui poco concludente, ricerca sulla forma del partito in senso non solo superficiale. Glissa però sul suo dna politico e anzi finisce per accantonare il problema.

Nel complesso, l'operazione bolognese è nel segno di una de- renziazzione del Pd e di un ritorno, con tutta la prudenza del caso, alle radici dei vecchi Ds. Renzi però non ha alcuna intenzione di fare della sua Iv una copia del Pd che per anni ha guidato. Il cavallo di battaglia sarà un piano ' shock' per il rilancio dell'economia a base di investimenti e opere pubbliche. Una formula che, casomai, ricorda più la Forza Italia dei giorni migliori che non il Pd nel quale il ragazzo di Rignano doveva vedersela quotidianamente con ' gufi', dissidenti e rogne varie.

L'appuntamento di Torino, fissato in contemporanea con quello del Pd per rubare la scena a Zingaretti ma deciso comunque per autonomi obiettivi, sarà il vero atto di nascita di Italia Viva, non a caso ' preparato' da settimane di guerriglia interna alla maggioranza proprio sul fronte dell'economia. Servirà a marcare la distanza tra il nuovo partito e il resto degli alleati, di fatto considerati rivali molto più che non alleati, e a fissare una cornice entro la quale inquadrare lo scontro politico che Renzi si prepara a combattere di qui al varo della finanziaria, con l'obiettivo di imporre l'immagine del ' partito no tax e dello sviluppo' contro quello delle tasse un bel po' anche della decrescita.

Ma lo shock mira anche a un altro scopo: attrarre quanti più parlamentari e quanto prima possibile dalle file di Forza Italia. Sono parecchi gli azzurri che non hanno alcuna voglia di finire sotto il tallone di Salvini e meditano il salto verso Iv. Molti però, a partire da quelli più in vista inclusa la capocorrente Mara Carfagna non hanno alcuna intenzione di ripetere la fallimentare esperienza di Verdini nella legislatura scorsa. Insomma, intendono aspettare la caduta di questo governo mentre Renzi ha tutto l'interesse nel rafforzare la sua pattuglia parlamentare subito.

Alla fine, il suo partito finirà per somigliare a una Margherita 2.0: più aggressiva, più contaminata dai temi che cavalcava un tempo Berlusconi ma nel complesso non troppo distante da quel modello pur riattualizzato. In un certo senso, dunque, il doppio appuntamento di questo weekend segnerà la fine, di fatto se non di nome, di un partito che in realtà non è mai nato davvero il Pd. Ma la differenza, rispetto a quando, nel 2007- 08, Veltroni tenne a battesimo il partito che sommava Ds e Margherita, è vistosa. Allora, in fase ancora tutta bipolarista, i due partiti marciavano comunque fianco a fianco ed erano quasi condannati a convergere. Ora la musica sarà, più che diversa, opposta.