Abbiamo sempre pensato che le Province non andassero cancellate. Averle fatte sopravvivere, nella più assoluta confusione, per lo più riducendone funzioni, personale e risorse assegnate, ha peggiorato la situazione. A cinque anni dalla riforma Delrio, varrebbe la pena aprire una riflessione profonda sui guasti provocati dal furore ideologico che ha sempre accompagnato il dibattito intorno a questo ente, la cui storia affonda le radici nell’epoca preunitaria.

Un dibattito approfondito, si badi. Depurato da pregiudizi e luoghi comuni. Capace di sfuggire al condizionamento dell’antipolitica e attento a valutare i dati nella loro oggettività. Perché sono proprio i dati a svelare l’inganno propinato nel nome di una razionalizzazione del sistema istituzionale ( che non c’è stata) e di un risparmio significativo per le casse dello Stato ( rivelatosi illusorio).

Partiamo proprio da qui, dal quadro finanziario. Tra il 2012 e il 2015, tra tagli previsti dalla spending review e quelli fatti per “risparmiare”, alla Province vengono sottratti 2 miliardi e 766 milioni di euro. Una decurtazione che incide del 43% sulla spesa corrente e del 71% sulla spesa per investimenti. A causa di questi tagli ben 13 Province, tra cui Varese, Novara, Asti, Ascoli Piceno, Potenza e Salerno, finiscono in predissesto. La Corte dei Conti, analizzando i bilanci delle Province nella relazione alla Commissione per il federalismo fiscale, nel 2016, li definisce “manifestamente irragionevoli” e lancia l’allarme: tagli così consistenti finiscono con l’incidere sulla qualità dei servizi resi ai cittadini. Ne risentono principalmente la gestione, manutenzione e messa in sicurezza dei 130 mila chilometri di strade, e delle oltre 7 mila scuole superiori. Non è tutto. Vengono assurdamente sottratte risorse agli interventi per la difesa del suolo e per il contrasto al dissesto. Ossia, quanto di più urgente si avverta in un Paese fragile come il nostro, esposto al rischio idrogeologico.

Per non parlare del dimezzamento del personale, in gran parte trasferito nelle Regioni, nei Ministeri e nei Centri per l’impiego. Oltre al fatto che ci sono voluti tre anni per ricollocarlo, l’operazione ha prodotto un sostanzioso aumento della spesa pubblica ( un 20% in più) per il solo effetto dell’adeguamento contrattuale. Si stima che, per gli oltre 12 mila dipendenti transitati nelle Regioni, il solo salario accessorio incida di almeno 36 milioni l’anno.

L’unico risparmio accertato della Legge 56/ 14 ( Legge Delrio) riguarda i cosiddetti costi della politica: 52 milioni di emolumenti tolti ai Presidenti ed ai consiglieri. In conclusione, tra aumento dei soli costi del personale, escluso l’aumento contrattuale ancora non stimabile, e il taglio netto degli emolumenti, il risparmio arriva a non più di 16 milioni. Una inezia. Soprattutto se si confrontano questi dati con i costi di società, enti, consorzi e agenzie, la cui prolificazione sembra non interessare a nessuno.

Eppure parliamo di oltre 7000 enti e di 356 mila dipendenti. Una pletora di organismi della cui utilità si fatica a trovare la ragione.

E’ la stessa Corte dei Conti a denunciarlo. Il 37% di queste partecipate, pari a 2.133 società, svolge compiti riconducibili alle Province. Da una parte, si sono affossate le Province, inopinatamente considerate enti inutili, mentre, dall’altra, sono spuntate come funghi società e agenzie che ne hanno replicato le funzioni. Un capolavoro di ingegneria istituzionale! C’è da restare basiti.

Stando così le cose, i fautori della eliminazione della Provincia dovrebbero ammettere una volta per tutte che la “riforma/ non riforma” del 2014 è fallita sia per i disastrosi risultati finanziari fin qui documentati, sia per una evidente sciatteria nell’affrontare il tema della riforma dell’ordinamento degli enti locali e, più ampiamente, del nostro sistema istituzionale. Le Province italiane, per storia, tradizioni, cultura, appartengono alla struttura socio- economica e identitaria del nostro Paese.

Non sono state disegnate sulla carta come è avvenuto per le Regioni. Territori come il Salento, la Ciociaria, la Maremma ( l’elenco è lunghissimo) sono luoghi che racchiudono identità, dialetti, idiomi, forme, usi e costumi, un vissuto sedimentato che ha acquistato “valore” nel corso dei secoli. Rappresentano il senso comunitario di una Nazione. Non tenerne conto equivale a rinnegare la nostra stessa natura.

Sul piano amministrativo, la loro funzione si è rivelata essenziale nel raccordo tra regione e comuni.

Di più. Con il nuovo ordinamento degli enti locali del Duemila ( Dlg n. 267) le Province erano state chiamate a svolgere un ruolo ulteriore rispetto a quello intermedio tra regioni e comuni, assumendo la regia nella pianificazione territoriale strategica e nelle politiche attive del lavoro. In sostanza, si affidava a questi enti un compito di programmazione dell’area vasta, in linea con le migliori esperienze europee, evitando, in tal modo, dispendiose duplicazioni di spesa e opere improduttive. Per pura demagogia, tutto questo è stato mandato all’aria. Eppure, di un soggetto istituzionale su cui far affidamento per garantire la cura dei territori e promuoverne lo sviluppo si avverte crescente bisogno. Basterebbe, intanto, fare ammenda degli errori commessi.