Caro Direttore, ricorro alla sua ospitalità per alcune puntualizzazioni in merito alla “vicenda Nicosia”. Antonello Nicosia è stato arrestato lunedì scorso con l’accusa di associazione mafiosa perché avrebbe recapitato fuori dal carcere i messaggi provenienti da alcuni boss della mafia, con cui aveva parlato durante le visite effettuate insieme a una parlamentare, della quale era assistente.

Si tratta di precisazioni doverose, considerati gli attacchi - alcuni brutali, altri sinuosi- indirizzati contro l’attività svolta nelle carceri dai Radicali e dalla cosiddetta ' lobby garantista' ( alla quale mi onoro di appartenere).

Nella scorsa legislatura, come presidente della Commissione per la Tutela dei Diritti umani del Senato, ho visitato numerosi istituti penitenziari in tutta Italia: reparti con detenuti comuni, di alta sicurezza e oltre una decina di sezioni speciali con detenuti reclusi in regime di 41 bis. Nel corso di tutte queste visite ispettive, la nostra attività veniva costantemente accompagnata dal direttore dell'istituto e i nostri movimenti venivano seguiti passo passo, attentamente vigilati e tenuti sotto occhiuta sorveglianza da parte di agenti della polizia penitenziaria e, nel caso dei reparti a regime speciale, dagli agenti del Gom ( gruppo operativo mobile), il corpo ad altissima qualificazione della polizia penitenziaria che provvede alla custodia dei detenuti sottoposti al massimo controllo.

Aggiungo che oggetto dei colloqui avuti con i detenuti - e tra questi anche esponenti di vertice delle organizzazioni criminali mafiose e camorriste reclusi in 41 bis - sono sempre state, come la legge e l'ordinamento penitenziario prevedono, informazioni relative allo stato di salute dei detenuti, alla condizione di carcerazione e a eventuali diritti che si ritenevano violati all'interno di quelle celle. Niente di più.

Per questi motivi non posso che provare stupore di fronte a quanto emerge dalla vicenda Nicosia: perché sarebbe stato consentito a qualcuno di potersi muovere con tanta facilità e agibilità in luoghi che dovrebbero essere tenuti sotto strettissima sorveglianza? Nel caso fosse confermato quanto emerso nei giorni scorsi, la responsabilità maggiore sarebbe da attribuirsi a chi non ha ottemperato agli obblighi che la legge e il regolamento penitenziario prevedono.

Ma tutto ciò come può giustificare la tentazione, così sfacciatamente evidente, di limitare l'attività ispettiva nelle carceri e colpire una prerogativa che per legge appartiene ad alcuni soggetti istituzionali? E, cioè, ai parlamentari, ai consiglieri regionali, al Garante nazionale, a quelli regionali e - ci auguriamo- ai garanti comunali.

Come può la vicenda di un singolo mettere in discussione l'attività pluridecennale radicale - che sia del Partito radicale o di Radicali italiani - all’interno del sistema penitenziario, a difesa dello Stato di diritto e di quella norma che prevede la partecipazione della comunità esterna all'attività di rieducazione? Tutto ciò, com’è evidente, previa autorizzazione e sotto la sorveglianza del personale penitenziario. Grazie dell’attenzione e cordiali saluti.

* Professore, già Presidente della Commissione per la Tutela dei Diritti umani del Senato