Pomigliano d’Arco conta 39 mila abitanti. Di questi, quasi 24 mila hanno un’età compresa fra i 14 ed i 60 anni. Vale a dire, le statistiche li comprendono “in età da lavoro”; il resto, hanno più di 60 anni o meno di 14. Di queste 24 mila anime, 12 mila hanno chiesto ( ed ottenuto) il reddito di cittadinanza. Uno su due. Anche se il ministero del Lavoro contesta questi dati: «I 12 mila percettori - è detto in una nota - sono da rapportare alla popolazione totale dei 6 comuni che è di circa 208 mila abitanti.

Ne consegue che i percettori di reddito di cittadinanza registrati al Cpi di Pomigliano d’Arco sono circa il 6 per cento della popolazione». A Pomigliano d’Arco è nato Luigi Di Maio. E se non fosse parlamentare da due legislature, molto probabilmente, anche l’attuale ministro degli Esteri avrebbe fatto parte di chi si è messo in lista per il reddito di cittadinanza.

Per quanto assurdo può sembrare, Pomigliano è il paradigma della crisi del Mezzogiorno. Una crisi che ieri Svimez ha fotografato in tutta la sua gravità. Ma siccome al peggio non c’è mai fine, dopo la presentazione del rapporto è arrivata la doccia gelata dell’Ilva: gli indiani dell’Arcelor Mittel si ritirano. Conseguenza: 10 mila posti di lavoro a Taranto e dintorni.

Svimez racconta la storia di una Nuova Questione Meridionale; o, più probabilmente, di una Questione Meridionale 2.0. A fronte di una crescita del pil del Centro Nord di un misero + 0,3 per cento, il Sud ha visto la velocità di crescita rallentare fino al punto di diminuire dello 0,2 per cento. Se il 2008 viene preso come spartiacque della crisi, «il Pil del Mezzogiorno è ancora oltre 10 punti al di sotto dei livelli del 2008; nel Centro- Nord mancano ancora 2,4 punti percentuali».

Non siamo in presenza di un Paese a due velocità. Siamo in presenza di un Paese che cammina e di un altro che è piantato. E’ quindi ovvio che nelle aree meridionali sia in atto un nuovo esodo. Se ne vanno, in media, 100 mila all’anno. Dal Duemila ad oggi se ne sono andati 2 milioni al Nord od all’estero a cercare lavoro. E di questi, il 20 per cento è laureato. Svimez, poi, rompe un altro tabù. Anche le donne meridionali hanno smesso di fare figli. Nel 2065 la popolazione in età da lavoro diminuirà del 15 per cento nel Centro- Nord (- 3,9 milioni) e del 40 per cento nel Mezzogiorno (- 5,2 milioni). Il direttore del centro studi, Luca Bianchi, rileva come questo schema demografico sia «insostenibile». Viste anche le conseguenze economiche: tra meno di cinquant’anni, con i livelli attuali di occupazione, produttività e di saldo migratorio, «l’Italia perderà quasi un quarto del Pil, il Sud oltre un terzo».

E le risposte mancano. Quella che ha fatto vincere le elezioni al Movimento 5 Stelle nel Mezzogiorno, il reddito di cittadinanza, ha avuto sul mercato del lavoro «un impatto nullo, in quanto la misura, invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro». Ne sanno qualcosa i 12 mila di Pomigliano che l’hanno ottenuto. Al contrario, per la povertà nel Mezzogiorno servono «le politiche di welfare ed estendere a tutti in egual misura i diritti di cittadinanza» .

E’ evidente che la crisi del Mezzogiorno non può averla indotta questo governo. E’ una crisi mai risolta. Così, Giuseppe Provenzano riconosce che la pesante eredità che ha ricevuto come ministro per il Sud è la recessione economica dell’intera area. Una situazione che, al momento, può solo peggiorare ( come dimostra il caso Ilva); visto il Meridione viene interpretato dalla classe politica solo come un bacino elettorale, e non un’area da favorire. Gli strumenti ( anche europei) ci sono. Come le Zes ( zone economiche speciali) od anche soluzioni innovative come i fondi di sviluppo regionali ( un caso su tutti, quello della Basilicata). Ma non decollano per egoismi locali.

E per mancata collaborazione con le istituzioni nazionali. Un caso su tutti. Esiste una Banca per il Sud che potrebbe diventare lo strumento per favorire la progettazione in linea con i requisiti europei per accedere ai finanziamenti Ue. Ma nessuno l’attiva in tal senso. E l’Italia chiude la classifica dei Paesi Ue che attingono ai fondi europei di sviluppo. A volte viene il dubbio che il sottosviluppo del Mezzogiorno sia voluto.