Basso capitale economico, sociale e culturale: sono questi i grandi handicap che limitano l’accesso dei detenuti alla giustizia. Un dato emerso dal Libro Bianco “Bringing justice into prison”, secondo cui l'avvio di procedimenti giudiziari porta a situazioni conflittuali ed espone i detenuti a varie forme di rappresaglia che li scoraggiano dall'esercitare i propri diritti. E i detenuti in prova costituiscono una categoria particolarmente vulnerabile, manifestando particolare paura che le proprie azioni possano influire negativamente sui procedimenti penali.

Spesso, perciò, sono riluttanti a chiedere ai propri avvocati di intervenire per porre fine a violazioni dei diritti.

La Cedu ha messo a punto un considerevole corpus di giurisprudenza per conferire effetto ai diritti sostanziali concessi ai detenuti, in particolare in materia di accesso a un giudice. Ma nonostante questo, sottolinea il rapporto, la Corte non tiene conto del ruolo essenziale dell'avvocato dal punto di vista dell'accesso del detenuto alla giustizia, trascurando, più genericamente, i molti ostacoli materiali che i detenuti devono affrontare.

Spesso il lavoro si concentra sul tentativo di semplificare le procedure, per consentire al detenuto di agire da solo, piuttosto che favorire l'intervento di un avvocato. Il risultato è un generale indebolimento della protezione legale dei detenuti. L’Ue ha adottato sei direttive che stabiliscono norme minime in materia penale. Tuttavia, tali standard non affrontano questioni relative ai diritti fondamentali dei detenuti in carcere. Ad oggi, due strumenti di riconoscimento reciproco consentono un confronto con le condizioni carcerarie in altri Stati dell'Ue: il mandato d'arresto europeo e la decisione quadro sul trasferimento dei detenuti.

L'accesso alle informazioni legali è il passo verso l'efficacia dei diritti, si legge nel rapporto. Ma le amministrazioni considerano tale accesso solo dalla prospettiva della divulgazione, attraverso opuscoli che descrivono brevemente i principi delle operazioni carcerarie. Un approccio legittimo e necessario, afferma dunque il rapporto, ma insufficiente a garantire ai detenuti la difesa dei propri diritti.