Luca Poniz è un apprezzatissimo presidente dellAnm. Non a caso la platea appassionata, come sempre, del congresso Ucpi di Taormina lo interrompe più volte a suon di applausi. Eppure Poniz rende ben chiara lurgenza della sfida lanciata da Gian Domenico Caiazza, che dellUnione Camere penali è presidente, la sfida di «presentare la verità dei fatti, nuda e cruda, sulle cause della lunghezza dei processi e sulla prescrizione». Unopera necessaria proprio per rispondere a quello scarto tra norme e principi che trapela persino nel discorso di Poniz: il vertice dellAssociazione magistrati impernia gran parte dellintervento sullidea che sì, la norma sulla prescrizione è «diversa da come noi lavevamo suggerita, nella nostra visione avrebbe dovuto riguardare solo le sentenze di condanna», eppure, aggiunge, «non possiamo escludere dal confronto tra magistrati e avvocati la verifica sul rischio che la prescrizione diventi lobiettivo di alcuni imputati, protesi con logiche dilatorie verso la scadenza del termine per impedire laccertamento della loro colpevolezza». Ancora: «Se pure ci fosse un solo caso in cui la prescrizione diventa strumentale, sarebbe una sconfitta per la giustizia».Manca, a una simile riflessione, un ancoraggio decisivo: sul rischio paventato dal presidente Anm dovrebbe fare nettamente premio quello di vedere un innocente costretto per decenni nella condizione di imputato. «Imputato per sempre», per usare proprio il titolo del convegno di Taormina. Anteporre la necessità che linnocente non resti processato a vita al rischio di un colpevole protetto dalla prescrizione è larchitrave del diritto penale liberale.Lantidoto alla confusione dei principi, secondo quanto propone Caiazza nella sua relazione, deve essere duplice. In termini di prospettiva bisogna riaffermare la «presunzione di non colpevolezza», che si coniuga con la necessità di una «colpevolezza pronunziata al di là di ogni ragionevole dubbio». Sono due dei «35 canoni del Manifesto definito insieme con gli accademici», ricorda il presidente dellUcpi. Il secondo pilastro è nello strumento in grado di trasferire i valori scolpiti nel Manifesto dalla «comunità dei giuristi» allopinione pubblica. E lo strumento è proprio in quella «verità nuda e cruda» con cui, dice Caiazza, «ora si dovrà fare i conti». Ed ecco il senso del nuovo studio sul processo penale condotto dallUcpi con lEurispes. Ecco perché, spiega il leader dei penalisti, «abbiamo deciso di replicare, a dieci anni di distanza, quellindagine a doppia firma». Lunedì i dati della ricerca saranno presentati alla stampa, ma già ieri a Taormina gran parte della prima giornata dei lavori (che si concluderanno domani) è stata dedicata alla presentazione anche dettagliata di alcuni aspetti dello studio. Solo per fare un esempio, «il dato relativo alla famigerata ripetizione della istruttoria dibattimentale in caso di mutazione del giudice, che riguarda, pensate un po, l1% del totale dei processi monitorati, allinterno del quale i difensori danno il consenso alla lettura quasi nel 60% dei casi», si segnala nella relazione di Caiazza. Senza citare naturalmente i numeri che dimostrano come la lunghezza dei giudizi non dipenda quasi mai dalle iniziative della difesa, tantomeno dalluso dilatorio delle impugnazioni sotteso alle parole di Poniz. Limpresa di modificare il mood dellopinione pubblica è ardua. Ma lUcpi non intende sottrarsi. La prossima settimana sarà introdotta dalla conferenza stampa di lunedì e vedrà lastensione dei penalisti fino a venerdì 25. Il segretario dellUcpi Eriberto Rosso definisce la ricchezza delle iniziative assunte anche dalle singole Camere penali come «un cantiere aperto». E il coordinatore dellOrganismo congressuale forense Giovanni Malinconico ricorda che proprio per il giorno 25 «ladesione allo stop delle udienze è stasa estesa, dallOcf, allintera avvocatura, oltre che ai penalisti. La società italiana ha bisogno di risposte a una crisi che si sostanzia nel giustizialismo», aggiunge. È la convinzione espressa da tutti i relatori, tra i quali i sempre acclamatissimi Armando Veneto e Beniamino Migliucci, predecessori di Caiazza al vertice dellUnione, con il secondo a presiedere i lavori. Il rischio più grave è evocato dal consigliere Cnf Stefano Savi: quello della «mistificazione», evidente anche «nel modo in cui è stata accolta la sentenza Cedu sullergastolo ostativo», e della «tentazione di invertire la logica delle riforme: anziché partire dai principi inviolabili e calibrare su questi ogni intervento sui tempi processuali, ridurre questi ultimi anche a costo di sacrificare i principi». Un pericolo fatale. Dinanzi al quale è necessario, come si propone lUcpi, svegliare davvero lopinione pubblica.