Le truppe di Erdogan, affiancate dalle milizie jihadiste filo- turche, marciano compatte su Manbij ( a ovest del fiume Eufrate) e soprattutto su Kobane, la città simbolo della resistenza curda alle bandiere nere del sedicente Califfato e oggi tra i principali obiettivi dell’offensiva turca nel Rojava ( il Kurdistan siriano). E nell’avanzata continuano a martellare i villaggi curdi con l’inevitabile massacro di civili: sono circa una sessantina le vittime tra la popolazione nella sola giornata di ieri, centinaia dall’inizio dell’operazione “Fonte di pace”, un bilancio destinato inevitabilmente ad aggravarsi nel corso delle ore.

Il ministero della Difesa turco ha annunciato che due capoluoghi, Tel Abyad e Ras al Ayn, nonchè un grande centro, Suluk, e 56 villaggi sarebbero stati «liberati dai terroristi» e che «oltre cinquecento di loro sono stati neutralizzati». Neutralizzato è l’asettico aggettivo impiegato da Ankara quando nei suoi comunicati annuncia la morte dei presunti terroristi.

Erdogan, che ha paragonato la sua offensiva nientemeno che all’invasione di Cipro del 1974, si mostra molto sicuro di sé, anche perché gli incerti balletti della diplomazia non fanno che rafforzare la sua posizione. Così può tranquillamente mostrarsi indifferente alla pioggia di critiche che piovono dalla comunità internazionale; si dice convinto che i reparti dell’esercito entreranno tranquillamente a Kobane con il placet della Russia, che conquistare la roccaforte dei suoi avversari sarà un gioco da ragazzi: «Ci sono un sacco di pettegolezzi ora, ma sembra che non ci saranno problemi a Kobane, Mosca sta avendo un approccio positivo», ha detto l’uomo forte di Ankara.

Sarà, ma per il momento dal Cremlino non è stata aperta nessuna linea di credito nei confronti della Turchia; al contrario il regime di Bashar al Assad, fedelissimo alleato della Russia, sta inviando i suoi soldati nella zona del Rojava dove combatteranno a fianco dei curdi proprio contro le truppe turche: nella serata di ieri le colonne di blindati siriani erano giunte nelle province di Hasaka e Raqqa.

Un’alleanza davvero inedita quella tra l’esercito di Damasco e le Ypg curde ( storici nemici), che dimostra quanto caos regna in Medio Oriente in questo nuovo, bellicoso passaggio. E che lascia presagire un’escalation del conflitto incontrollata: non più una guerra asimmetrica, ma un confronto maggiore in cui si fronteggiano due eserciti regolari.

Diverse organizzazioni internazionali operanti in Siria nord- orientale sanno che i combattimenti cresceranno di intensità nei prossimi gior- ni e hanno in tal senso intimato ai propri dipendenti di lasciare il Paese arabo. Stanno chiudendo le proprie sedi e bruciando i documenti presenti. È quanto rivelato da un corrispondente inviato nell’area dall’emittente satellitare Al- Hurra, che trasmette in lingua araba.

Il cronista non ha citato gli operatori coinvolti, ma sostiene che la decisione è legata proprio all’accordo raggiunto tra Damasco e l’alleanza curdo- araba. La fuga dal campo di battaglia delle ong umanitarie peggiora di gran lunga le condizioni della popolazione, quasi del tutto priva di assistenza e in balia dei bombardamenti turchi.

Oltre al dramma dei morti civili si aggiunge quello degli sfollati: sono almeno 200 mila le persone in fuga secondo le ultime stime dell’Organizzazione mondiale della sanità ( Oms) che ribadisce la sua grave preoccupazione per la situazione dsul campo. Circa 1,5 milioni di persone hanno infatti necessità di sostegno medico, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico, con il sistema sanitario della zona frontaliera della Sira, già di per sé molto debole, che rischia il tracollo.

Molti ospedali non sono più in grado di funzionare, afferma l’Oms, diverse strutture sono state distrutte dai colpi di artiglieria turchi, in più nella zona c’è una cronica mancanza di personale medico, dato che molti collaboratori delle strutture sanitarie ssono tra gli sfollati.