Tutto pronto per Italia a 5 Stelle, la festa del decennale. Mentre Eugenio Bennato farà il sound check, i big del Movimento 5 Stelle, almeno quelli presenti, potranno scaldare i militanti, mai così confusi come in questa fase politica. Perché quella che andrà in scena a Napoli, a partire da oggi pomeriggio, sarà la prima festa della nuova era, quella giallo- rossa, scandita da defezioni, malumori e venti sempre più insistenti di scissione.

In apertura, i saluti del capo politico. A seguire l’intervista doppia a Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, condotta dal giornalista Paolo Borrometi. Ci sarà anche Davide Casaleggio a «parlare di politica», garantisce, e il presidente della Camera, Roberto Fico, a cui spetterà il compito di convincere una platea perplessa. A Beppe Grillo l’onore e l’onere di chiudere la kermesse domenica sera, da leader in carica. Animale da palcoscenico, “l’elevato” dovrà studiare uno show che faccia dimenticare quello dello scorso anno, quando si presentò sul palco con una “manina” finta, protagonista indiscussa dei primi attriti di governo tra M5S e Lega in materia fiscale. Salvini è «uno che dice una cosa e la mantiene», garantiva un anno fa il fondatore del Movimento, oggi convertito sulla strada del Nazareno, con sommo smarrimento degli attivisti e della base parlamentare.

Quella dei 10 anni è infatti la festa della maturità e delle giravolte di un partito diventato grande troppo in fretta, che nel giro di due lustri è passato dal “vaffa” a Palazzo Chigi. E in appena un anno ha cambiato alleati, pescando tra le opposte fazioni. Non solo, è anche la prima “Italia a 5 Stelle” di un movimento pronto a concorrere a una competizione regionale ( in Umbria) in coalizione con un altro partito, il Pd. L’autosufficienza dei primi tempi e l’allergia agli “inciuci” ha lasciato spazio al cinismo adulto della realpolitik, provocando un’ovvia conseguenza: non tutti riescono a seguire il passo di Di Maio e Grillo. Non ci saranno infatti a Napoli gli scontenti, ex ministri e sottosegretari rimasti fuori dal cambio di maggioranza - Barbara Lezzi, Giulia Grillo, Mattia Fantinati, solo per citarne alcuni - e non ci saranno gli irriducibili avversari del “Partito di Bibbiano”.

Non si presenterà quindi Gianluigi Paragone, che in passato ha fatto gli onori di casa dal palco della manifestazione, e non si farà presumibilmente vedere neanche uno dei leader più amati dalla base pentastellata: Alessandro Di Battista. I suoi profili social tacciano dal 19 settembre. «Sono sempre stato contrario ad un governo con il Pd. Non è un segreto. Ho sempre reputato il Pd il partito del sistema per eccellenza, quindi il più pericoloso», recita l’ultimo post visibile su Facebook. È come se Dibba, rimasto volontariamente in panchina alle elezioni del 2018, si fosse perso troppe cose in un anno e mezzo per capire la mutazione che subisce un movimento all’interno dei Palazzi che contano. Perché l’ex deputato, tra un viaggio e un reportage, non ha avuto modo di assaggiare il sapore amaro delle trattative sul “contratto di governo”, delle contrattazioni sugli incarichi, delle riunioni carbonare per ribaltare il tavolo. Di Battista è rimasto ai tour in scooter per sabotare la riforma costituzionale di Renzi e si è perso quello che Grillo definisce uno «step evolutivo» del Movimento: l’alleanza organica col vecchio nemico per resistere a Salvini. La sua assenza, salvo sorprese dell’ultimo minuto, sarà senz’altro quella più dolorosa per la base pentastellata, abituata alle arringhe rumorose del leader scapigliato.

A Napoli, però, non saranno però solo fratture silenti. Sarà il decennale delle diatribe aperte alla luce del sole. Come quelle messe in scena dal consigliere regionale laziale Davide Barillari che, dopo aver riunito a Firenze un gruppo di dissidenti, ha stilato insieme ad altri un documento per chiedere ufficialmente un ridimensionamento per Di Maio e Casaleggio, la coppia più potente del Movimento. La contesa è così profonda che ripercuote anche in Regione, dove i grillini si sono spaccati in due bande: quella capitanata da Roberta Lombardi, considerata la pioniera dell’intesa con Zingaretti, e quella capitanata dallo stesso Barillari, indisponibile al dialogo col Pd. La guerra fratricida, estesa anche ai gruppi parlamentari, rischia di far implodere l’intero fabbricato pentastellato. A Grillo, ancora una volta, il compito di metterci una toppa e di puntellare il palazzo prima che venga giù. Consapevole che stavolta servirà un altro repertorio per riportare la calma tra gli attivisti delusi.