Laura Arconti non ci ha lasciati. Laura ci ha lasciato l’insegnamento del rigore, dell’intelligenza e della passione con la quale ha condotto la sua esistenza. Ora sta a noi trarre la forza dal suo esempio e dai suoi preziosi insegnamenti che ci trasmetteva con la sua militanza. Ci teneva tanto ad essere considerata una militante anche quando ricopriva cariche statutarie perché questo è stato da sempre l’antico metodo del Partito Radicale. E proprio il Partito Radicale è stato per Laura una ragione di vita ed il suo pensiero costante, anche nei suoi ultimi giorni quando sembrava volesse trasmettere forza ed energia vitali nonostante la sua estrema debolezza.

Quanto incoraggiamento c'era nei confronti di ciascuno di noi con i suoi fili diretti, con lo sportello Arconti su Facebook, con le decine di telefonate che faceva ogni giorno! Soprattutto dopo la morte di Marco Pannella non si è risparmiata, assumendosi per l'ennesima volta la responsabilità della salvezza del PR, in un momento di estrema difficoltà per noi, per il partito.

Nonostante la fatica dei suoi anni, Laura è riuscita a trasmettere a noi ( molto più giovani) il messaggio: “ragazzi, mi raccomando, questo partito è stato la mia vita; ora tocca a voi portarlo avanti con amore”. Amore che è riuscita a comunicarci anche con il suo ultimo libro “una ragazza del novecento” dove ripercorre la sua storia militante e la sua vita personale perché anche per Laura il personale era politico ed il politico personale. Laura Arconti non sopportava le commemorazioni. Lei, che celebrava la vita ogni giorno occupandosi con tutta se stessa del “suo” Partito Radicale, rifiutava le parole vuote, i proclami, le promesse non mantenute. Eh sì, ci ha lasciato una grande responsabilità.

Ecco che come si raccontava.

«Sono nata nel 1925, un anno speciale: l’anno in cui Gaetano Salvemini aveva abbandonato definitivamente l’Italia e la sua cattedra fiorentina, per riparare negli Stati Uniti; l’anno in cui cominciava l’odissea dei fratelli Rosselli, tra esilio, processi, prigionia, evasioni rocambolesche, e il loro “Non mollare” stampato alla macchia, e distribuito clandestinamente, e al quale collaborava anche Ernesto Rossi; una collaborazione che pagò cara, fu processato una prima volta, e costretto a rifugiarsi in Francia.

Per tutti questi motivi mi piace pensare che il Partito Radicale fosse scritto nel mio destino fin dalla mia nascita.

Alle elezioni politiche del 1958 votai radicale, segnando un simbolo che allora veniva scherzosamente chiamato “la bicicletta”, perché era costituito dai due del PRI e del Partito Radicale. Nessun radicale arrivò in Parlamento, furono eletti sei deputati repubblicani. Andavo ai convegni degli “Amici del Mondo” all’Eliseo; il mercoledì correvo all’edicola, a comprare “Il Mondo”. Non so come dire la gioia che era legata alla lettura di quel settimanale, quel caro “lenzuolo” del mercoledì: un’esperienza indimenticabile: la prosa stringata e limpida, la bella lingua italiana, i titoli che sintetizzavano nitidamente i contenuti, le splendide fotografie… Si diceva che Mario Pannunzio scegliesse personalmente titoli e fotografie, ed era vero probabilmente, perché si sentiva la mano di un Maestro. Nel 1966, quando Pannunzio chiuse “Il Mondo”, per me fu un lutto; rinnovato l’anno dopo, quando morì Ernesto Rossi, alla vigilia della prima grande manifestazione della “religiosità anticlericale” dei radicali, che egli doveva presiedere al Teatro Adriano a Roma.

Io lavoravo da vent’anni, stavo preparando una svolta della mia attività, destinata a cambiare totalmente la mia vita, e questo mi impegnava a fondo. Ora mi vergogno di ammetterlo, ma non pensavo minimamente di militare nel Partito, tantomeno ad iscrivermi. Poi arrivò il referendum sul divorzio, il lunghissimo digiuno di Marco Pannella che chiedeva l’accesso all’informazione televisiva per la LID e gli altri soggetti non presenti in Parlamento. Marco viveva questo digiuno all’hotel Minerva; spinta dall’ammirazione per lui, e dall’ansia per la sua salute, decisi di telefonare al Minerva, chiedendo di parlare con “qualcuno dell’entourage di Marco Pannella”. Mi rispose lui stesso, gli chiesi che cosa potessi fare per dare una mano. “Vai al partito”, mi disse, “porta un po’ di soldi, lavora con i compagni”.

Gli lasciai all’albergo una rosa rossa e una lettera, contenente il più importante contributo finanziario che riuscii a mettere insieme; il giorno dopo ero al Partito in via di Torre Argentina 18, a smanettare sul ciclostile. Due giorni dopo ero in giro per la città, con una scatola da scarpe sigillata ed aperta da una fessura come un salvadanaio, a chieder soldi alla gente per il Partito Radicale.

Così è cominciata la mia lunga militanza radicale, e i digiuni di dialogo, le manifestazioni, le marce ed i sit- in, le nottate di “filo diretto” anticoncordatario a “Radio Radicale”, la raccolta delle firme referendarie, l’Associazione “Vita e Disarmo”, la posta di Marco, il lavoro di segreteria della Presidenza nei Congressi; e la fedeltà della puntuale iscrizione, anno dopo anno, a tutte le organizzazioni radicali.

Mi è stato chiesto di raccontare come e perché mi sono iscritta al Partito Radicale. Ebbene, io sto ancora chiedendomi perché non mi sono iscritta assai prima, fin dal 1955, come avrei dovuto: poiché le ragioni della libertà, che ho nel cuore, le ho ritrovate soltanto in casa radicale.»

* Il testo è tratto da “Il radicale ignoto” a cura di Valter Vecellio, edito nel 2010