Che cosa succederà alla Bce quando, alla fine di questo mese, si esaurirà il mandato di Mario Draghi? Nessuno è in grado di dirlo, nemmeno colei che gli succederà: Christine Lagarde infatti, a precisa domanda al termine di una fluviale intervista per la Cbs circa la possibilità che la linea di Draghi possa trovare continuità, ha risposto con un laconico “vedremo”.

C’è da dire che lei stessa, e lo spagnolo Carlos De Guindos che sarà il suo braccio destro, rappresentano la prima e più forte discontinuità: nessuno dei due è mai stato banchiere centrale o ha mai praticato la politica monetaria, ed entrambi invece hanno alle spalle brillanti carriere politiche culminate nel ruolo di ministri delle Finanze rispettivamente di Francia e Spagna. Il che è un bel cambiamento, specie se si pensa al tradizionale e storico tabù dell’indipendenza dalla politica nel governo della moneta. Surrogato dall’ultimissima presa di posizione di Draghi sulla necessità che l’Unione europea si dia una politica economica comune, potrebbe essere un indizio: che la Bce, al momento l’unica istituzione europea dotata di poteri effettivi e non condizionati dalle decisioni dei capi di Stato e di governo, dopo aver seguito una linea largamente confinante con la politica economica, o che ha comunque avuto conseguenze ( positive) sulle politiche economiche comprando in questi lunghi anni di crisi dei debiti sovrani titoli di stato per un totale di 2.500 miliardi di euro, possa continuare a proseguire quella “politica”.

E a farlo nonostante un rullar di tamburi che, complice anche l’indebolimento politico di Angela Merkel in patria, è partito fulmineo proprio all’indomani dell’ultimo quantitative easing lanciato il 12 settembre. Prima si è polemicamente dimessa dal comitato esecutivo della Bce - dopo averne condiviso le decisioni- la rappresentante tedesca Sabine Lautenschlager. Poi, peggio che dopo averne condiviso le decisioni, è sceso in campo Jens Weidmann accusando Draghi di abusare del suo mandato. Lo ha fatto in un’intervista alla Bild, che aveva appena messo in copertina il presidente della Bce nei panni di Dracula. E a poco vale ricordare che Weidmann arrivò a far ricorso contro il quantitative easing alla Corte costituzionale tedesca ( che gli diede torto), ed ebbe invece una parentesi di sperticate Lodi per Mario Draghi nei giorni in cui si era nelle trattative per individuarne il successore: i fuochi d’artificio son continuati, col risveglio di tutti i rigoristi nordici, compreso il presidente delle assicurazioni Allianz. E continueranno: nessuno della classe dirigente tedesca che ricordi come, proprio grazie all’immissione continua di liquidità sui mercati, proprio anche i tedeschi oggi possono indebitarsi a tassi negativi.

Cosí a difendere Draghi ( anche dalle critiche del governatore francese Coeuré, in uscita dal board Bce) è arrivato Macron che in visita a Roma ha definito “corretta” la politica di quantitative easing. E poi Ignazio Visco. Con i tempi ponderati dell’istituzione, il governatore di Bankitalia ha aspettato la prevista uscita pubblica nell’annuale convegno dell’associazione dedicata alla memoria dell’economista Marcello de Cecco, nella cittadina natale di Lanciano neanche troppo vicina a Chieti, per togliersi non molti giorni fa dei faraglioni dalle scarpe. A parte il fatto che si è a rischio deflazione, ha detto Visco, “è una cacofonia” sentire che appena conclusa una riunione a Francoforte vi siano governatori che prendano pubblicamente le distanze, o addirittura si dimettano, per protestare contro decisioni cui loro stessi hanno contribuito. Minacciando anche di chiedere che lo statement pubblico finale di ogni riunione non si limiti a riportare la discussione con le varie posizioni espresse ma che di esse si dica a chi appartengono. Se si considera che le decisioni della Bce non sono del solo Mario Draghi, ma frutto della discussione collegiale del board dei governatori ( e tra loro c’è ovviamente anche quello italiano), tolto il tradizionale understatement, è come se Visco avesse detto: quelli che oggi criticano Draghi nel chiuso delle riunioni ne hanno vidimato la linea.

Le polemiche naturalmente non sembrano destinate a placarsi. Perché il vero obiettivo, nella fase di transizione, è provare a condizionare il mandato della Lagarde. E soprattutto perché sullo sfondo c’è la consueta e annosa lotta europea, che non riguarda la sola Bce : fare un passo avanti, dando diritto di cittadinanza anche a quelle voci dei Trattati in cui si proclamano valori e scopi come la crescita, lo sviluppo e iI benessere dei cittadini - che per esser realizzati richiedono politiche diverse da quelle attuate sinora- oppure proseguire la politica ciclica in nome del rigore. E la Bce di Draghi, tra l’altro, s’è trovata a dover correggere la rotta anti- inflazionistica fino alla deflazione del suo predecessore Trichet, cercando di dare sostegno alle economie in un periodo di crisi. Che è poi anche quel che la Ue non poteva fare, non avendo una unitaria politica economica. Comunque, l’Ecofin di oggi affronterà le nomine che restano per la Bce, con il previsto avvicendamento nel comitato esecutivo tra il francese Bernard Coeuré e l’italiano Fabio Panetta, e si tratterà di discutere la sostituzione di Sabine Lautenschlager. Poi, espletate le procedure compreso l’esame del Parlamento, insediamento a gennaio.