«Gratuità dispregiativa». È la “classificazione tecnica” in cui il presidente dei commercialisti Massimo Miani non ha esitato a inserire l’idea del “daspo” per la categoria. Lo ha fatto anche con un intervento pubblicato ieri sul Dubbio che, dell’ipotesi circolata nei giorni scorsi, restituisce l’immagine di vero e proprio autogol dell’esecutivo. Tanto che lo stesso ministero dell’Economia si è precipitato a diffondere ripetute smentite. Che si tratti di una parabola destinata a infilarsi giusto nel “sette” della rete governativa non è attestato solo dall’indignazione della categoria colpita o dall’impareggiabile sarcasmo del governatore campano Enzo De Luca ( «non penso sia obbligatorio perdere ogni settimana 200mila voti...» ). Arriva anche la reazione dell’avvocatura, a dimostrare l’inopportunità della trovata politico- mediatica — che comunque alcuni autorevoli esponenti della maggioranza come Nicola Morra continuano a considerare un’opportuna “misura antievasione”. Ieri il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin ha diffuso dunque una nota per condividere «le perplessità e le preoccupazioni rappresentate dal presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti Massimo Miani riguardo all’ipotesi di daspo per la categoria». E soprattutto, il massimo organo istituzionale dell’avvocatura ricorda, con una certa affilata puntualità, che «la classe forense sa bene come le normative in materia fiscale siano tali da costituire percorsi a ostacoli per chi è chiamato a interpretarle, come i commercialisti e gli stessi avvocati». Vale a dire: forse è il caso di ricordare che le norme fiscali sono fin troppo vessatorie nei confronti dei professionisti, e che una “provocazione” come quella del daspo può avere solo una conseguenza: motivare ancora di più i professionisti a passare alla controffensiva, e ad andare a reclamare dal legislatore rimedi rapidi alle insensatezze delle regole già esistenti.

Ma in fondo non si può leggere solo una prospettiva conflittuale, nella reazione con cui gli avvocati hanno deciso di affiancare il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili ( Cndcec). Intanto perché Mascherin non manca di ricordare come commercialisti e avvocati «svolgano il compito» di interpretare la normativa «con diligenza e scrupolo deontologico». E poi per lo scenario a cui allude un altro passaggio della nota del Cnf: «Ci si augura che i ministeri competenti piuttosto ascoltino commercialisti e avvocati per semplificare la materia fiscale nel rispetto dei diritti dei contribuenti» . Ecco, l’“ascolto” di cui parla Mascherin è in realtà un’opzione che l’attuale maggioranza ha già ampiamente condiviso. A cominciare da un altro dossier assai importante per i professionisti come quello dell’equo compenso. In quel caso il titolare di un altro cruciale discastero, il guardasigilli Alfonso Bonafede, ha aperto un tavolo tecnico con tutte le categorie per definire un provvedimento rafforzativo rispetto alla disciplina dell’equo compenso, in particolare rispetto agli abusi che spesso vengono inflitti ai professionisti proprio da parte della pubblica amministrazione. In quel caso, quindi lo Stato è pronto a rimediare ad alcune proprie tendenze vessatorie manifestate rispetto al certo medio. Può darsi che quell’inutile significato dispregiativo — fin troppo evidente nell’idea del daspo — evocato dal presidente Miani, si trasformi in un’ulteriore sollecitazione, per il mondo delle professioni, a capovolgere lo schema punitivo avviato fin dall’abolizione dei minimi tariffari.

E che vi sia una simile occasione è dimostrato ancora dalle numerose dichiarazioni di solidarietà arrivate nei confronti del Cndcec e dalla mobilitazione delle associazioni rappresentative. Basti pensare alla replica altrettanto vigorosa proposta da Daniele Virgillito, presidente dell’Unione giovani commercialisti ( Ungdcec): «Vogliono farci passare per una sorta di ultras dell’evasione». L’idea di poter far fronte comune per moltiplicare il potere contrattuale, d’altronde, si è fatta strada negli ultimi anni in particolare proprio tra avvocati, commercialisti e notai, che a fine 2017 hanno costituito l’associazione comune “Economisti e giuristi insieme”. Forse si aspettavano di dover avanzare proposte costruttive più che respingere eccentricità distruttive. Ma non è detto, appunto, che quest’ultima imprevista circostanza non si traduca in una motivazione politica ancora più efficace.