«Nessuno vuole morire, ma a volte è l’unica possibilità che rimane. E la misericordia viene prima dell’obiezione di coscienza». Da anni Mina Welby rappresenta uno dei simboli della lotta per una legge sul fine vita. Dopo aver aiutato suo marito Piergiorgio, affetto da distrofia muscolare, a morire, ha continuato la sua battaglia per una legge sul suicidio assistito, in grado di lenire le sofferenze dei malati senza possibilità di cure. E dopo la decisione della Consulta sul caso Marco Cappato, che ha aiutato Dj Fabo a morire in una clinica in Svizzera, rischiando così fino a 12 anni di carcere, Welby lancia il suo appello al Parlamento. «Serve una legge per avere la libertà di decidere, fino alla fine», spiega al Dubbio.

Che voto dà alla decisione della Corte costituzionale?

È importantissima, perché ha dato una possibilità a chi non ha più cure possibili di poter chiedere di morire. Ma ci sono alcune criticità. In primo luogo, si fa riferimento a pazienti tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale e non tutti ne hanno bisogno. Quindi si rischia di creare una categoria che verrà espunta da questa legge. Poi naturalmente, si parla di patologie irreversibili, e questo è corretto, di sofferenze intollerabili e scelta libera e consapevole. Non è una soluzione d'amblè: prima devono esserci delle cure, ma se non sono utili o se il paziente non le vuole, devono esserci delle cure palliative, come dice la legge 219 sul consenso informato.

La Consulta, in un primo momento, aveva parlato di sofferenze fisiche e psicologiche, apportando poi una correzione: le sofferenze possono essere fisiche o psicologiche. Cosa cambia?

È un punto importante: c’è chi prova sofferenze psicologiche incurabili, per le quali non ci sono nemmeno cure palliative. Non pensavo fosse possibile, invece uno psichiatra mi ha chiarito che esistono. Ed è giusto tutelare anche la loro dignità.

Il testo della Consulta si conclude affidando alla valutazione di un giudice la sussistenza delle condizioni indicate. È d’accordo ad affidare tale scelta all’autorità giudiziaria?

Credo debba essere un medico a decidere su queste cose. Un controllo giudiziario non è adeguato. In Svizzera e in Olanda, ad esempio, c’è il controllo sulle procedure, ma dopo la morte. Viene, ad esempio, controllato che il medicinale utilizzato per consentire la morte sia stato dosato in maniera e nelle quantità adeguate, viene effettuata una visita sul corpo. In questi paesi sono molto rigorosi, non è una faciloneria e non deve diventarlo nemmeno in Italia. Deve esserci prima il procedimento di aiuto, con le cure palliative, e poi il malato deve poter decidere, insieme al medico, di lasciare il palcoscenico, sul quale lui è il ballerino. Nessuno vuole morire, ma se le cure non fanno più effetto bisogna riconoscere il diritto a fare tale scelta. E la legge deve proteggere il medico che aiuta qualcuno a morire.

Che tipo di legge deve fare il Parlamento?

Innanzitutto dovrà partire dal fatto che si tratta di persone e che non si andrà a fare una norma che riguarda una classe di individui, ma tutti quanti. Chiunque può trovarsi nella condizione di avere una malattia grave o di subire un incidente che porti a sofferenze insopportabili. Non tutti coloro che provano quella sofferenza vorranno, forse, questa conclusione per il loro percorso, non è un dovere, ma devono avere tutti la possibilità di fare questa scelta. La Consulta ha valutato il caso di Dj Fabo, ma la legge non dovrà riguardare solo casi come il suo. Deve essere pensata per tutti. Fabiano non aveva la possibilità di morire secondo il suo personale concetto di dignità. Aveva il sostegno vitale della nutrizione e della respirazione, avrebbe potuto essere addormentato chissà fino a quando, ma non sarebbe stato dignitoso né per lui, né per sua madre, né per la sua compagna. Credo avesse diritto di essere aiutato a morire in questo modo, possibile solo in Svizzera. E per questo Cappato non può essere punibile.

I medici, nel sollevare obiezioni sul contrasto tra la legge e il codice deontologico, hanno suggerito di affidare la consegna del farmaco ad un pubblico ufficiale. È d’accordo?

Il pubblico ufficiale lasciamo fuori, assolutamente. Ci sono altri medici che non sono obiettori e che possono farlo al posto di chi non vuole. La morte assistita medicalmente deve avvenire all’interno del Servizio sanitario nazionale, quindi in ospedale o a casa. Se il presidente dell’ordine dei medici italiani vuole essere obiettore di coscienza non può, però, non essere presidente di quelli che non saranno obiettori, come succede per l’aborto.

C’è un problema culturale?

Assolutamente. Io credo che quando una sofferenza è così grande, se si ha empatia col malato, la misericordia viene prima dell’obiezione. Io, da cattolica, ho accompagnato Davide Trentini in Svizzera. L’ho fatto per amore, non c’era altra possibilità.