La voce è entusiasta, come di chi si è liberato di un peso. Roberto Giachetti, renziano eretico, radicale e ora parlamentare di Italia Viva, si è gettato senza ripensamenti nel nuovo progetto di Matteo Renzi ed ha ritrovato lo slancio che gli equilibrismi - cui era costretto nel Pd zingarettiano - gli avevano tolto.

Dica la verità, un po’ di dispiacere c’è?

E’ chiaro che ci sia. Per me forse più che per altri questo è stato uno strappo pesantissimo sul piano umano. Penso soprattutto a Dario Franceschini, con cui abbiamo fondato insieme la Margherita, o a Paolo Gentiloni che considero un fratello. Per fortuna, però, i rapporti si mantengono. Proprio come nei rapporti sentimentali, capita di rendersi conto che lo strappo è necessario per tener vivo qualcosa, che altrimenti si sarebbe deteriorato del tutto.

Solo dispiacere umano, quindi. Politicamente, molti hanno sostenuto che manchino le ragioni per questa scissione.

Le parlo di me: sul piano politico sono molto più in linea con il progetto originario del Pd che con il Pd di oggi. E’ evidente che i passi dell’attuale segreteria stanno facendo cambiare Dna al partito e io in queste modifiche, che sono sostanziali cambi di visione, non mi riconosco.

Un esempio?

Zingaretti, legittimamente, ha messo in discussione la coincidenza della figura del segretario e del premier. Ma questo fa venir meno la ratio delle primarie aperte e anche la vocazione maggioritaria, che erano le due grandi idee rivoluzionarie di Walter Veltroni. Questo cambia di netto la natura del partito. Quanto alla segreteria, la prospettiva di Nicola è sempre stata quella di cambiare tutto rispetto all’esecutivo Renzi. Prova ne sono le nomine fatte da Zingaretti con Peppe Provenzano, contrario al Jobs Act, al Lavoro e di Andrea Giorgis, che fece i comitati per il no al referendum, alle Riforme.

Eppure un partito come Italia Viva sembra nato proprio per una prospettiva proporzionale.

Lei sbaglia a dire così. Noi siamo pronti a misurarci con qualsiasi tipo di legge elettorale e la nostra è una visione maggioritaria. Detto questo, noi daremo la fiducia al governo anche se proporrà una legge elettorale proporzionale, ma non lavoriamo per una torsione di questo tipo.

Quindi che partito è Italia Viva?

La nostra cifra politica è il riformismo, lo stesso su cui il Pd ha fatto un passo indietro con le ultime scelte congressuali. E, da riformisti, saremo utili al governo.

E come vede il rapporto coi 5 Stelle? Questa è un’altra delle ragioni per cui è stato giusto dividerci dal Pd. Io non voglio condannarmi a governare coi 5 Stelle, ma voglio che il centrosinistra torni ad essere maggioranza nel paese. Per farlo, serve un’offerta politica che parli al mondo con cui il Pd non parla.

Quale sarebbe?

Quel 40% di astenuti, che non si riconosce nell’attuale panorama politico e cerca qualcosa di nuovo e coinvolgente. La nostra prospettiva è di frenare il consenso delle becere politiche salviniane con una proposta capace di attirare quei tanti che chiedono un modo diverso di vivere la politica. La nostra sfida è questa: rappresentare un vero scatto di freschezza e dimostrare che la politica è una cosa nobile, che può essere fatta in modo serio e allo stesso tempo leggero.

Vi hanno definiti il ventiseiesimo tentativo di partito centrista.

Il centro è una dimensione politica surreale, come lo è il termine “moderati”. Noi non siamo né l’uno né l’altro: il riformismo non ha nulla di moderato, perché punta a produrre cambiamento e nel 40% di astenuti a cui ci rivolgiamo le assicuro che ci sono moltissimi radicali.

Voi rimarrete fuori dalla tornata alle regionali, mentre in Umbria il Pd si è alleato coi 5 Stelle. E’ replicabile l’assetto di governo?

Io non sono d’accordo.

Lo aveva detto anche del governo coi 5 Stelle, ma si è ricreduto.

Ho riconosciuto di aver sbagliato, ma il governo giallorosso è giustificato da una situazione di emergenza democratica. Però è un’emergenza che di sicuro non c’è a tutte le elezioni, soprattutto a livello regionale. Glielo ripeto, il mio obiettivo è che torni a vincere il centrosinistra.

Non la convince l’alleanza in Umbria?

La giustifico col fatto che è un’elezione imminente e perché l’Umbria è un caso peculiare. Escludo, però, che il modello umbro possa valere anche per Calabria, Campania, Emilia e Toscana. Per ciò che riguarda Italia Viva, le dico che ogni decisione sarà presa dai referenti di ogni territorio.

La sua uscita dal Pd è coincisa con le dimissioni da consigliere comunale di Roma. Nella Capitale un accordo con i 5 Stelle è davvero impossibile?

Roma è una città in ginocchio e di qui al 2021 le cose peggioreranno. Ma non voglio parlarle di ogni singolo problema irrisolto. Sa quale è stato il più grosso limite dell’amministrazione Raggi?

Quale?

Il fatto di non aver mai colto l’occasione di creare le condizioni per il futuro della città, a prescindere da chi sarà il prossimo sindaco. C’era l’esigenza di un lavoro trasversale, che toccasse per esempio la governance della Capitale: prescindeva dal singolo mandato di Raggi e non è stato fatto. Il turnover incredibile di addirittura venti assessori è la dimostrazione plastica del fatto che la sindaca non abbia alcuna consapevolezza dei disastri che ha fatto e, soprattutto, che non esista in lei alcun interesse a correggere qualcosa.

Nessuna alleanza possibile, quindi?

Non parlo certo a nome del Pd, ma le ultime dichiarazioni che ho letto confermano la linea di una impossibilità di accordi coi 5 Stelle capitolini. Anche perché il fallimento della giunta è sotto gli occhi di tutti e mi sembra una follia che, proprio nell’ultimo anno di mandato, il Pd si accolli la responsabilità dei danni senza esserne stato causa.

Quelli che lei chiama i fallimenti di Raggi agevoleranno il centrosinistra alle prossime elezioni?

Il centrosinistra non ha capito nulla se si illude che il fallimento di Raggi consegni a noi la città. Il tempo stringe e bisogna già da subito individuare un leader per guidare la Capitale, senza aspettare come sempre gli ultimi due mesi. Serve qualcuno su cui investire, che conosce la città e che sia politicamente affidabile. Qualcuno che sia capace di mettere in campo un sogno per Roma e che convinca i cittadini che c’è la possibilità di cambiare prospettiva di sviluppo, con un disegno che guardi ai prossimi 15 anni, non ai prossimi 5 mesi.

Intanto i venti della destra soffiano.

A Roma come in tutta Italia. Per quel che riguarda la Capitale, i risultati elettorali recenti ci dicono che il Pd si è rafforzato ma non è competitivo. Però non bisogna disperare: in questa fase storico- politica, il consenso è volatile ma l’elettorato è più maturo, perché non si fa illudere dalle promesse ma vuole comprendere in pieno la prospettiva dei progetti che si presentano. Per questo bisogna mettersi subito al lavoro. Anche perché, sinceramente, se andremo alle comunali con la stessa ambizione che vedo ora, non ci saranno grosse possibilità di vittoria.