È una mobilitazione capillare: in due mesi sono triplicati i “Nuclei locali” costituiti presso gli Ordini degli avvocati per la vigilanza sull’applicazione dell’equo compenso. È il Consiglio nazionale forense, con una nota, a dare notizia dell’enorme adesione all’iniziativa assunta dallo stesso Cnf con il ministero della Giustizia, che il 2 luglio scorso hanno costituito insieme un Nucleo centrale per il monitoraggio sulla legge. Non si tratta solo di una legittima autotutela espressa dalla professione, ma di un atto politico: dal Cnf e dagli Ordini arriva la dimostrazione che gli avvocati sanno riproporre con forza e coesione organizzativa l’urgenza di una nuova strategia a tutela del lavoro autonomo, a cominciare appunto dalla professione forense.

È il 23 luglio. Sala Livatino di via Arenula, dove ha sede il ministero della Giustizia. Il presidente del Cnf Andrea Mascherin e il consigliere Antonio Baffa incontrano il guardasigilli Alfonso Bonafede. Tema: l’insediamento del “Nucleo centrale di monitoraggio” sull’equo compenso. L’organismo che ministro e presidente dell’istituzione forense hanno istituito pochi giorni prima con un protocollo d’intesa.

Mascherin e Baffa spiegano a Bonafede: «Nel giro di pochi giorni si è già formata una rete con 20 ’ Nuclei locali’ di monitoraggio costituiti da altrettanti Consigli dell’Ordine in diverse città italiane». Bonafede è incredulo. «Straordinario, è un meccanismo virtuoso che va incoraggiato, e già il fatto che una prima fascia di Ordini territoriali abbia aderito all’iniziativa solleciterà gli altri, per emulazione, ad attivarsi».

Bonafede aveva intuito cosa sarebbe avvenuto: e ora è il Cnf a certificare la tendenza dell’avvocatura diffusa a fare rete, appunto, per vigilare sulla corretta applicazione dell’equo compenso. Lo fa con una nota diramata ieri, in cui si spiega come siano «triplicati in due mesi i ’ Nuclei locali’ presso gli Ordini degli avvocati».

È così: dai 20 segnalati a Bonafede a fine luglio si è passati a qualcosa come 65 Ordini forensi coinvolti nella “Rete nazionale di monitoraggio”. All’interno dell’elenco, riportato nella scheda proposta dal Dubbio, ci sono, ricorda ancora il Cnf, «due Unioni forensi, Sicilia e Triveneto» che «hanno costituito i Nuclei locali di monitoraggio sui compensi professionali per raccogliere materiale sulle violazioni alla normativa e, tramite il Consiglio nazionale forense, segnalare al ministero della Giustizia bandi e avvisi che non rispettano la legge a tutela del decoro professionale».

È un esercito organizzato. Bonafede lo aveva compreso in quella stessa riunione di luglio. Una mobilitazione che solo l’avvocatura poteva essere in grado di esprimere. E che dimostra due cose. Primo: il Cnf e il sistema ordinistico non intendono tollerare oltre la tendenza di committenti privati e pubblici a mortificare la dignità della professione con compensi oltraggiosi, quando non addirittura nulli. Secondo: ora sarà più semplice per lo stesso ministro della Giustizia mettere in campo una piattaforma di interventi normativi per blindare ulteriormente la disciplina dell’equo compenso, anche rispetto agli incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni.

Nel segnale politico offerto dall’avvocatura e dalla sua istituzione c’è anche la conferma di quanto sia stato avveduto il nuovo esecutivo a prevedere, tra i propri obiettivi di finanza pubblica, proprio quello di tutelare il «lavoro non dipendente», a cominciare dai «professionisti più giovani». Un progetto a cui serviranno risorse in legge di Bilancio, ma anche l’attivismo del Cnf e degli avvocati.

«L’avvio dei nuclei locali presso gli Ordini», ricorda ancora la nota del Cnf, «è partito subito dopo la sottoscrizione del protocollo di intesa del 2 luglio scorso tra Consiglio nazionale forense e ministero della Giustizia per l’istituzione di un Nucleo centrale di controllo, a cui il Cnf sottopone le segnalazioni e le prassi elusive riscontrate da avvocati e Ordini sul territorio».

E poi la puntuale evocazione di quel passaggio a via Arenula di due mesi fa: «In occasione dell’insediamento dell’organismo presso via Arenula, avvenuto il 23 luglio scorso, il Cnf aveva già portato all’attenzione del ministro Bonafede le prime segnalazioni raccolte grazie alla collaborazione dei 20 Nuclei locali che si erano subito costituiti sul territorio. Segnalazioni», aggiunge il Cnf, «che nel corso dell’estate sono raddoppiate e su cui il Consiglio nazionale forense è al lavoro per un controllo attento e costante».

Certo, da una parte il fatto che nel giro di due mesi siano state censite già alcune decine di casi in cui enti pubblici e soggetti privati hanno ignorato le norme sull’equo compenso, disegna uno scenario desolante. Dà l’idea di una illegalità diffusa e di una tendenza contro cui sarà comunque impegnativo battersi. Ma il quadro indicato dai casi raccolti grazie alla “Rete di monitoraggio” rappresenta anche una sollecitazione, per la professione forense, a moltiplicare gli sforzi.

La battaglia d’altronde è partita quasi tre anni fa, come ricorda ancora il Cnf: «La normativa sull’equo compenso, al cui varo il Consiglio nazionale forense ha dato un impulso iniziale fondamentale e un contributo significativo nel corso della sua formazione durante la scorsa legislatura, rappresenta per l’avvocatura e per le professioni in ge- nerale una conquista per la dignità della retribuzione a fronte della qualità e quantità delle prestazioni richieste».

È così. Ed è altrettanto vero come una simile battaglia rappresenti un passaggio epocale - più volte prefigurato dallo stesso presidente del Cnf Mascherin - dalla «religione del mercatismo» a una «democrazia solidale», basata innanzitutto sulla dignità del lavoro. A cominciare da quello di chi, come gli avvocati, assicura un presidio irrinunciabile per la democrazia stessa.