Scissione fredda? No, gelida. Senza nessun tentativo di coinvolgere una parte di popolo. Senza nemmeno preoccuparsi di tirarsi dietro tutti i propri parlamentari. La mossa di Renzi è il massimo esempio sin qui attuato di una ' scissione da laboratorio'. Un'operazione di vertice lucidamente pensata per essere tale.

A Renzi, per ora, non interessa dar vita a un suo partito centrista: è l'orizzonte, non il presente. Gli interessa invece, qui e ora, potersi sedere al tavolo della maggioranza in piena autonomia, senza doversi far rappresentare dalla maggioranza interna del Pd, relegato nell'angolo. Un gruppo parlamentare è necessario per completare l'opera iniziata dando di fatto vita al governo e poi piazzando una nutrita pattuglia di ministri e sottosegretari. Serve per avere voce in capitolo sugli indirizzi di politica economica, sulle nomine ( capitolo fondamentale), sull'elezione del presidente della Repubblica. Serve anche a conquistare massima visibilità, necessaria per mettere insieme, nell'arco di un biennio almeno, una formazione centrista, con spezzoni di Fi refrattari al salvinismo, da contrapporre alla prevista, e molto auspicata, deriva ' sinistrorsa e pentastellata' del Pd di Zingaretti.

In questo piano di battaglia tutto e solo di vertice, nel quale conta la conquista disposti di potere e di palcoscenici mediatici, il carattere volutamente limitato della scissione renziana tra i parlamentari, è comprensibile e giustificato. Una scissione più massiccia sarebbe quasi certamente stata possibile, anche se molti renziani avrebbero comunque evitato di mettersi in gioco subito preferendo ' restare a guardare' in attesa di decidere sulla base d rapporti di forza concreti. Ma non sarebbe stato interesse dello stesso Renzi.

I rischi di un effetto destabilizzante sul governo sarebbero stati maggiori e in questo momento la stabilità del ' suo' governo, almeno per un paio d'anni e comunque fino al varo di una legge elettorale proporzionale è il principale interesse dell'ex premier. Inoltre la presenza di una robusta quinta colonna nel gruppo del Pd al Senato, con incluso lo stesso capogruppo Marcucci ma il discorso è parzialmente valido per l'omologo alla Camera Delrio, dovrebbe permettere a Renzi di contare su due colonne distinte ma convergenti moltiplicandone il peso specifico e la possibilità di esercitare pressione.

Renzi, si sa, è abituato a muoversi senza basarsi su schemi rigidi, cogliendo l'occasione quando si presenta: è la sua forza e la sua debolezza. Per ora, però, la previsione su cui si basa il progetto renziano è che un Pd privato ella sua presenza slitterà inevitabilmente verso sinistra, facendo propri sempre più alcuni temi dei 5S e lasciando così scoperto il fianco moderato per il partito che mira a creare. Previsione, sì, ma anche auspicio che il premier cerca di favorire. Tra i suoi obiettivi, nel liberare il Pd dalla scomoda presenza, c'è anche il facilitare il rientro degli scissionisti di LeU e lo spingere Zingaretti verso l'abbraccio con l'M5S.

Insomma, questa scissione improvvisa e inspiegata, realizzata senza passione e senza neppure provare a coinvolgere la base, non è affatto insensata. Risponde a una logica precisa, che è del resto del tutto omogenea a quella che ha portato alla nascita della maggioranza ' giallorossa' e che porterà quasi certamente ad alleanze regionali realizzate con lo stesso metodo.

E' una politica di vertice, che prescinde completamente dal confronto delle leadership con il proprio popolo nella certezza, o nella speranza, che ' l'intendenza seguirà'. E' una politica che conosce solo la tattica e rinvia a data da destinarsi l'impiccio strategico e che pertanto si muove con una disinvoltura estrema, a seconda delle circostanze e dell'utilità immediata. In parte, sia chiaro, la politica è sempre stata anche questo. La novità affermatasi in questa ultima fase, ma già in marcia da lunghissimo tempo, è che lo squilibrio a favore di una politica puramente di vertice si è imposto senza più margini di mediazione, come proprio la mossa a modo suo estrema di Renzi attesta.

Ma identica cosa potrebbe dirsi del progetto di una coalizione Pd- M5S in Umbria decisa a tavolino nell'arco di una sola domenica, e senza neppure perdere tempo a discuterne almeno le linee guida e senza darsi pensiero del parere delle rispettive elettorali. I prossimi mesi diranno se questa politica ormai del tutto svincolata da tutto a eccezione delle manovre decise in una ristretta tolda di comando pagherà o si rivelerà, come è possibile, catastrofica.