Contraddizioni con le dichiarazioni del passato, specificatamente sulla collocazione temporale degli eventi. Ma non si parla di una data qualunque, perché il dettaglio potrebbe far crollare il castello della tesi sulla presunta trattativa Stato- mafia. Parliamo della deposizione del pentito Giovanni Brusca al processo d’appello sulla trattativa. Sentito giovedì scorso, il pentito ha ribadito che dopo la sentenza della Cassazione sul maxiprocesso, intervenuta il 30 gennaio 1992, serviva un nuovo e diverso aggancio politico, mentre figure come Calogero Mannino avrebbero dovuto essere tolte di mezzo perché, almeno in parte, non avrebbero mantenuto gli impegni. La sentenza della Cassazione, ricordiamo, colpendo una lunga serie di potenti, storici capimafia e di gregari dell’associazione criminale, nella sostanza rischiava non solo di mettere a repentaglio la sopravvivenza di un sistema di potere, minacciando la sopravvivenza dell'organizzazione mafiosa, ma anche di incidere sugli equilibri e le garanzie assicurati dalla politica, locale e non solo, alla mafia siciliana. Gli equilibri erano di fatto saltati, e la sentenza rappresentava dunque un precedente pericolosissimo. Fu per Riina la goccia che scatenò il passaggio alla fase esecutiva del piano di attacco frontale allo Stato.

Il perno della tesi sulla trattativa si regge sulla figura di Mannino che, avendo appreso che la mafia aveva progettato di ucciderlo, avrebbe spinto gli ex Ros a trattare con la mafia tramite Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo in stretto legame con la mafia. La tesi è chiara: la trattativa sarebbe stata avviata prima della strage di via D’Amelio che portò all’uccisione di Paolo Borsellino e la sua scorta. Data, quella dell’attentato a Borsellino, importante perché, sempre secondo l’accusa, quella strage sarebbe dovuta dal fatto che il magistrato si sarebbe opposto – o potuto opporre - a tale trattativa. Tesi che però cozza contro altre sentenze, e tra queste una definitiva, nelle quali il motivo dell’accelerazione sull’attentato sarebbe invece da ricercare nell’ oggettivo interessamento di Borsellino per il dossier “mafia e appalti”.

Secondo la versione esposta giovedì in udienza da Brusca non ci sarebbero dubbi: il concreto progetto di attentare alla vita di Mannino – con tanto di pedinamento - sarebbe stato intrapreso a cavallo tra la strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone e quello di via D’Amelio. Ma è l’avvocato Basilio Milio, difensore dell’ex Ros Mario Mori, a contestargli il punto, ricordandogli che nel verbale del 19 febbraio del 1997 si leggono testualmente le seguenti dichiarazioni rese da Brusca ai pm di Palermo: «Dovevamo uccidere anche Mannino, ma dopo gli attentati a Falcone e Borsellino».

Brusca nel tempo ha ritrattato la collocazione temporale e per rispondere alla contestazione avanzata dal legale di Mori, spiega anche il perché, motivando che nel corso degli anni ha avuto tempo per riflettere meglio trovando dei punti di riferimento per poter collocare la data del progetto di attentato a Mannino prima della strage di via D’Amelio. Brusca spiega che i suoi punti di riferimento – cosa che in realtà già disse durante il processo Mori- Obinu - sono l’uccisione per ordine di Riina di Vincenzo Milazzo, boss di Alcamo, assieme alla sua amante Antonella Bonomo ( era incinta) avvenuta il 16 luglio 1992 e dell'ispettore capo di polizia Giovanni Lizzio nel 27 luglio ' 92. Quindi sulla base di questi riferimenti, Brusca sarebbe riuscito, in seguito, ricollocare la data del progetto di uccidere Mannino.

Ma è sempre l’avvocato Milio a contestargli che, in realtà, sempre nello stesso verbale del ’ 97 in cui Brusca faceva risalire il progetto di uccidere Mannino a un’epoca successiva alla strage di via D’Amelio, i riferimenti agli omicidi di Lizzio e Millazzo- Bonomo già c’erano. Arriva, sempre durante l’udienza presieduta dal giudice Angelo Pellino, un’altra conferma che smentirebbe quanto dichiarato da Brusca giovedì scorso. Parliamo dall’altro pentito, Gioacchino La Barbera, il quale ha dichiarato che il progetto di attentare alla vita di Mannino sarebbe stato programmato più avanti, appunto: tra il settembre e l’ottobre del 1992. Cosa che in realtà disse ai magistrati già nel 1997 e che – a differenza di Brusca - non aveva mai ritrattato. Parliamo del famoso “messaggio del vino”, con il quale Bagarella sollecitò La Barbera affinché chiedesse a Biondino di “portare il vino” in via Ventura, lì dove c'era la segreteria di Mannino.