Pietro Guerrieri*

Gentile Direttore, sono ad esprimerLe il mio più vivo rammarico per alcune affermazioni, contenute nell’articolo pubblicato lo scorso 17 luglio dal Suo giornale, a firma di Errico Novi, dal titolo “ Vittoria, avvocati contro: non difendere l'assassino”, palesemente distorsive della realtà dei fatti, e del contenuto di dichiarazioni da me rese a una testata giornalistica all’indomani della tragedia di Vittoria.

Nell’articolo si esprime preliminarmente un giudizio critico, del tutto ingiustificato, su un articolo di Alberto Pezzini, avvocato e noto scrittore, pubblicato sul quotidiano giuridico on line Avvocati Rando Gurrieri, iscritto al registro nazionale della Stampa, riportandone il seguente estratto: «Non difenderei mai, mai, un uomo che ammazza un bambino, ne decapita un altro e si allontana scappando, perché esiste un giustificato motivo che è la mia coscienza: questa secondo me è la vera Indipendenza dell’avvocato, quella che caratterizza l’avvocatura» . Prosegue, il giornalista, rilevando che, con queste affermazioni, l'avvocato Pezzini «si schiera col collega che dirige il sito, Pietro Gurrieri, risoluto a sua volta nel chiedere, a proposito dell'assassinio di Vittoria, “che non ci sia un solo collega sulla faccia della terra che lo assista nemmeno come difensore d'ufficio!”» .

Ciò premesso, il dott. Errico Novi prosegue parlando, a proposito delle dichiarazioni sopra riportate, di «insolito anatema, giacché si assimila all'ormai consueta onda d'odio dirottata, oltre che sulle persone accusate dei reati più mostruosi, anche in direzione dei loro legali» e di «maledizione invocata da Gurrieri e poi rilanciata da Pezzini» , rilevando, infine, che tali condotte sarebbero state censurate dalle Camere Penali e concludendo con una serie di affermazioni, queste largamente condivisibili, in merito al rilievo pubblico e costituzionale della difesa e alla funzione dell'avvocato come garante di tale fondamentale diritto.

Orbene, ritengo il contenuto dell'articolo in questione profondamente lesivo della mia dignità di cittadino e di avvocato e la ricostruzione dei fatti incompleta ed arbitraria.

Innanzitutto, contrariamente a quanto indicato nel sottotitolo, non sono un penalista, essendomi dall'ormai lontano 1993, anno in cui ho prestato il giuramento forense, occupato in assoluta prevalenza di diritto amministrativo, come avrebbe potuto appurare l'autore dell'articolo. Il giornalista, invece, ha riportato alcune righe di un post privato da me pubblicato nella mia bacheca facebook, e poi riprodotto in quella della pagina Facebook della testata Avvocati Rando Gurrieri, deliberatamente epurandolo dell'inciso iniziale, così da stravolgerne completamente il senso e da pervenire alla conclusione opposta rispetto a quella che era nell'intenzione del sottoscritto. Ho scritto quel post, dal titolo “Alessio, Simone”, di getto, a distanza di poche ore dalla tragedia.

L'ho scritto da cittadino di Vittoria, di una comunità da quel momento avvolta da un dolore inenarrabile. L'ho scritto, pensando a questi due ragazzini, che frequentavano una scuola della città i cui piccoli studenti, compresi loro, ho incontrato almeno un paio di volte nel corso del mio incarico, negli anni passati, di assessore comunale all'Istruzione.

Un post lungo, riferito a questa comunità, e non certo a quella degli avvocati, nel quale, ad un certo punto, ho scritto così: «Quant'è brutto dirlo per degli avvocati, ma vorremmo per un attimo, d'impeto, che non ci sia un solo Collega sulla faccia della terra che lo assista nemmeno come difensore d'ufficio!» . Una iperbole, come evidente per tutti, meno che per il redattore del Dubbio, che ha ritenuto ( incredibile!) di cancellare il periodo iniziale, così, a mio sommesso avviso, rischiando di compromettere i doveri di verità e di completezza nell’informazione anche sotto tale profilo. Come hanno rilevato decine, centinaia di avvocati di tutta Italia, proprio quell'inciso “per un attimo, di impeto” sta a significare che, anche quando ci sono fatti che ci fanno inorridire, trasalire dal punto di vista dell'emozione umana al punto da portarci istintivamente, per un attimo, ad allontanarci dai nostri principi, nonostante tutto, superato quell'attimo, siamo tenuti a continuare a crederci. Credere, da uomini prima ancora che da avvocati, che tutti abbiano diritto ad un difensore e ad una difesa, indipendentemente dal delitto che siano loro contestati; credere che, come proclama solennemente l'articolo 24 della Costituzione, la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento; credere che ciascun accusato abbia comunque diritto ad un processo equo e celebrato nel rispetto assoluto delle regole; credere, ancora, che mai per un Avvocato, l'assunzione di una difesa, anche quando si trattasse di un crimine efferato e ci si trovasse di fronte ad un reo confesso, potrebbe implicare anche implicitamente una difesa delle azioni e della persona, piuttosto che, correttamente, dei suoi diritti; credere, ancora, che la difesa d'ufficio è istituto di centrale rilevanza costituzionale e di altissimo valore civile.

Questi sono i principi nei quali, fin dal momento del mio giuramento, e pur non essendo un penalista, mi sono integralmente riconosciuto, e che, sia pure attraverso una iperbole, o un paradosso – ben sapendo che non si potrebbe celebrare un processo senza un Avvocato – ho inteso riaffermare nel mio post. Detto questo, non posso mancare di rilevare, con la stessa nettezza, che oltre al diritto alla difesa, esiste anche un diritto degli avvocati a difendere, di fiducia, a loro insindacabile giudizio, chi ritengano opportuno; così come, per quanti sono iscritti all'albo dei difensori d'ufficio, e pertanto obbligati a prestare la difesa, esiste anche il diritto, riconosciuto dall'articolo 97 comma 5 cpp, a chiedere di poter essere sostituiti per giustificato motivo. Così come non può esservi dubbio che un avvocato incaricato della Difesa in un procedimento come difensore d'ufficio che non ritenga, per le ragioni più disparate, di poter svolgere il proprio mandato con serenità, equilibrio, e senza pregiudizi, ben potrebbe, nello stesso interesse del proprio assistito, azionare la procedura di cui al ripetuto comma 5 dell'articolo 97 cpp.

Com'è evidente, si tratta di principi irrinunciabili e non negoziabili e fanno bene le Camere penali a richiamare l'attenzione sulla loro centralità. Principi da me, e certamente anche dall'avvocato Pezzini, che se riterrà di intervenire, lo farà per conto suo, ritenuti indefettibili, come peraltro hanno compreso centinaia, migliaia di avvocati che si sono riconosciuti nel mio post e in quello, successivo, del Collega Pezzini, non scorgendo in essi alcun animus anche solo latamente offensivo rispetto al nostro giuramento di Avvocati.

Ragion per cui l'articolo pubblicato sulla sua testata, per quanto concerne i riferimenti alla mia persona, oltre che a quella del Collega, è del tutto inaccettabile. Come è inaccettabile, offensivo e del tutto gratuito il riferimento a quel «cavalcare l'ondata emotiva che la notizia ha inevitabilmente determinato» e al «malcelato tentativo di acquisire consensi» . Un comportamento – fuori le righe da sciacalli – che non appartiene alla mia persona, né alla linea di una testata giornalistica, Avvocati Rando Gurrieri, che da quattro anni, senza richiedere alcun abbonamento diretto o indiretto per l'accesso ai contenuti, e con costi di gestione ancora superiori alle limitate entrate – assicura un’informazione quotidiana, tecnica e pluralista a decine di migliaia di avvocati, che hanno fatto di tale testata uno dei quotidiani giuridici più seguiti del paese. E nell'ambito del quale, giova rilevare, proprio ai temi ed ai principi richiamati dalle Camere penali è stato accordato larghissimo spazio, particolarmente nell'ultimo periodo, nel corso del quale l'Ucpi ha profuso un'intensa azione a loro presidio.

Distinti saluti

*AVVOCATO 

Risponde Errico Novi. Gentile Avvocato, mi colpisce, della sua lettera, la passione delle idee e dello stile argomentativo. Sui valori di fondo siamo evidentemente vicini. Riconosco che aver riportato in modo non integrale la sua frase ne ha alterato il senso. Così come è evidente che il ruolo istituzionale da lei rivestito negli anni scorsi nella comunità di Vittoria consente di comprendere davvero il significato delle sue parole. La passione per il principio di intangibilità del diritto di difesa, che può contagiare anche un giornalista, ha indirizzato il sottoscritto verso una lettura non pienamente coerente con il suo pensiero. Nel suo inciso «per un attimo e d’impeto» sta il riconoscimento di quel principio, di cui va sempre ribadita la dignità così come va fatto per la libertà di difendere, che è diritto, come da lei segnalato, di ogni avvocato. Mi auguro che il risultato finale consista nell’aver ribadito, anche grazie a lei, quanto quel principio sia cruciale per la tenuta della nostra stessa Civiltà, e che ne possa uscire rafforzata la comune determinazione nel continuare a difenderlo.