L’ipotesi di alleanza giallorossa anche sui territori piace, eccome se piace. Forse più ai dirigenti dem nazionali che alle federazioni locali, ma il tema tiene banco ovunque. A darle definitivamente forza sono state le parole di Dario Franceschini, eminenza dem nel Conte bis, che ha scandito un «Se lavoreremo bene, potremo presentarci insieme già alle regionali. È difficile, ma dobbiamo provarci. Per battere questa destra, ne vale la pena».

Insomma, lo stesso ragionamento alla base dell’alleanza di governo. La linea è stata pienamente condivisa anche dal segretario Nicola Zingaretti, che ha sottolineato il necessario «rispetto delle realtà locali», ma «se governiamo su un programma chiaro l’Italia, perché non provare anche nelle regioni ad aprire un processo per rinnovare e cambiare?».

Del resto, l’alleanza ( o la non desistenza) nelle regioni alle urne era stato l’argomento dibattuto sottobanco tra dem e grillini già durante i giorni delle trattative per il governo. Anche nelle ore più difficili, più di un zingarettiano aveva ripetuto che «il governo è fatto, ora si discute delle regioni». A prima vista due mondi distanti. A ben vedere, invece, è impossibile slegare il governo nazionale dalle elezioni regionali.

La strategia regina della Lega per picconare l’Esecutivo è quello di umiliarlo, conquistando tutte e quattro le regioni prossime al voto. Così, ragiona Salvini, si dimostrerà che chi è maggioranza in Parlamento non lo è nel paese. Fermare la Lega non solo in Aula ma anche nelle regioni, dunque, diventa cruciale per la sopravvivenza dell’Esecutivo.

La maggior parte del Pd nazionale ( tranne Matteo Orfini, che scrive «un conto è un accordo tra forze diverse e alternative per reagire a una forzatura pericolosa per il paese come quella di Salvini. Un conto è immaginare che il M5s sia diventato improvvisamente una costola della sinistra» ) apre senza dubbi ad allargare l’alleanza anche nei territori. A partire proprio dalle regioni al voto come l’Umbria: il centrosinistra, dopo le dimissioni per lo scandalo sulla sanità della governatrice Catiuscia Marini, ha puntato su un candidato civico come Andrea Fora.

Proprio questa scelta dovrebbe facilitare la convergenza dei grillini, che hanno risposto freddi alle sollecitazioni del Pd. Su questo conta il commissario dem umbro Walter Verini, che sta seguendo le fasi preparatorie della campagna elettorale e commenta: «Salvini ha detto: ci prenderemo l’Umbria. Ed è la stessa frase dei pieni poteri. Ecco questa cosa va impedita».

Altra regione chiave è la rossa Emilia Romagna. La data del voto non è ancora stata stabilita e oscilla tra novembre e gennaio, e i dem giocano una partita difficilissima. Perdere nella sua regione storica significa incassare un colpo quasi da ko, ma la federazione locale è granitica nell’intenzione di ricandidare l’uscente Stefano Bonaccini. Proprio qui l’appoggio dei 5 Stelle potrebbe far tirare il proverbiale sospiro di sollievo, ma un nome della nomenklatura di partito non aiuterà a convincere i grillini proprio nella regione storica della nascita del Movimento.

La stessa impasse potrebbe verificarsi anche in Toscana e Calabria, dove gli scetticismi locali si fanno ancora più forti. Del resto, lo stesso Zingaretti ha ribadito come sia necessario rispettare «l’autonomia dei territori» e questo impone una politica dei piccoli passi. Non è facile convincere gli elettori e gli stessi dirigenti locali a scegliere l’accordo con chi, fino al giorno prima, ha portato avanti un’opposizione feroce.

Per questo, l’avvicinamento ai 5 Stelle deve essere cauto e misurato, ma il tempo stringe e c’è il rischio di scontentare qualcuno. E’ chiaro, infatti, che se davvero l’alleanza territoriale s’ha da fare, il Pd non potrà pensare di fagocitare tutti i candidati. Spartire le candidature alle regionali con lo stesso bilancino usato per le nomine di governo, tuttavia rischia di far saltare il banco.

Di qui il rompicapo: facilitare il rapporto coi 5 Stelle significa cedere i propri “politici” favorendo personalità più “civiche” e dunque digeribili dal Movimento. D’altra parte a livello regionale il radicamento politico dei candidati è ciò che ha permesso ai dem di sopravvivere agli urti elettorali degli ultimi tempi. Eppure, è la legge elettorale delle regioni a rendere la scelta di un’alleanza Pd- 5 Stelle quasi obbligata. Non esiste il secondo turno come per i sindaci, dunque governa la compagine che conquista la maggioranza relativa e il centrodestra composto da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia è nettamente favorito.

Quel che è certo è che - alleanza o meno - le regionali saranno la cartina tornasole non solo dell’operato del neonato governo, ma anche del gradimento a sinistra di un’alleanza fino a qualche mese fa inimmaginabile.