Fra Italia e Francia è così. Il confronto, il rapporto odio- amore, la rivalità sono parte integrante della nostra convivenza. Del resto, è o non è il paese di gran lunga più simile al nostro?

Non si tratta solo di una storia comune per larghi tratti, di radici che sono parte fondamentale della cultura occidentale. Anche solo limitandosi alla stretta attualità, Italia e Francia presentano problematiche simili o assimilabili, che dovrebbero consigliare anche al sovranista più sfegatato e cocciuto di darsi una calmata e ricominciare a ragionare.

Da questo punto di vista, l’invito alla distensione e collaborazione, arrivato dal ministro degli Esteri di Macron, al suo fresco omologo Luigi Di Maio, è da considerarsi un ottimo segnale. L’intemerata parigina del nuovo titolare della Farnesina e del barricadero Di Battista, il clamoroso ossequio ai gilet gialli, sono ricordi ancora molto freschi. Diciamola tutta, a Parigi avrebbero potuto tranquillamente farcela pagare politicamente, in un passaggio di rara delicatezza per l’Italia. Che la mano tesa, invece, sia arrivata proprio dall’Eliseo è un aspetto che non deve essere sottovalutato. La Francia si è resa conto, palesemente prima di molti a Roma, che non possiamo permetterci frizioni, in una fase storica in cui le decisioni cruciali rischiano semplicemente di slittare lungo altre direttrici. Nella mossa francese, dunque, non vediamo nulla di opportunistico o peggio paternalistico. Piuttosto è la risposta a un’esigenza chiara: Italia e Francia sono condannate a lavorare insieme, anche amandosi fino a un certo punto. Quale che sia il colore dei governi. Questo non significa, secondo la vulgata degli ultimi mesi, ‘ prendere ordini da Macron’. Semplicemente, è fare i propri interessi. Anche perché problemi simili richiederanno soluzioni simili. Perdere tempo con lo sciovinismo, all’alba del III millennio, appare quasi patetico.

Sia all’ombra di Notre Dame ( e il rogo della cattedrale ci ha dolorosamente ricordato la comunione di sentimenti e memorie che ci unisce), sia sotto il Colosseo, è bene smetterla con atteggiamenti buoni al massimo negli stadi di calcio. A tal proposito, il trionfo di Charles Leclerc su Ferrari, domenica a Monza, appare quasi un segno del destino. Il delirio di centomila italiani per il ragazzino venuto da Monaco ( da sempre Montecarlo, per i francesi, è il salotto buono di casa...) ha scritto solo l’ennesima pagina di un libro infinito. Non dimentichiamo mai che il mito per eccellenza del popolo ferrarista parlava francese e si chiamava Gilles...

È solo uno dei 1000 motivi, per cui Italia e Francia continueranno a vivere la loro storia insieme. Sta a tutti noi, però, definire come.