Fanno bene quelli che mettono in guardia da facili entusiasmi rispetto alla nascita del Conte bis. Troppa repentinità nel cambio di maggioranza; eccessiva enfasi nel voler dimostrare che tutto è diverso da prima; esagerato rilievo su convergenze programmatiche tutte da verificare; e infine arzigogolata retorica - con annessa sottovalutazione del contrappasso - nel voler addossare tutti i mali e tutte le colpe su Matteo Salvini. Come a sottolineare che tolto lui, via i problemi. Non è così, naturalmente, e magari la riprova potrebbe arrivare prima di quanto si creda.

Tuttavia è vero che esiste una condizione non solo politica o sociale, e neppure specificatamente economica o di respiro Ue, bensì “sistemica” che mette vento nelle vele dell’esecutivo e che consente di minimizzare i rischi e amplificare le possibilità. E’ una condizione di necessità e per certi versi perfino paradossale: ma è metafora precisa dello stato in cui versa il Paese.

Semplificando, si potrebbe tradurla così: il governo Conte non è detto che avrà successo per forza, ma per forza non può fallire. Cosa significhi, e cosa comporti, è presto detto. Non può fallire perché in quel caso l’M5S si ritroverebbe a dover andare alle elezioni avendo bruciato le leadership sia di Conte che di Di Maio, con sulle spalle il fallimento di accordi politici con la Lega e con il Pd. Altro che “né di destra né di sinistra”: significherebbe che il MoVimento non è adatto a governare e che precipitarlo all’opposizione ne certificherebbe l’inutilità. Un incubo.

Sullo stesso piano il destino del Pd. Se fallisce l’intesa con i Cinqustelle, infatti, per poter esprimere un profilo adatto alla governabilità, delle due l’una: o raccoglie da solo il 51 per cento dei voti oppure diventa forza politica ultronea visto che certamente con la Lega non può allearsi e che FI risulta una presenza fantasmatica con nulla, allo stato, che permetta di nutrire speranze su un cambio di registro.

Vero. C’è chi, di fronte a prospettive così traumatiche, immagina che la possibile soluzione stia nel varare una riforma elettorale ( l’ennesima!) in senso proporzionale, così da garantire la sussistenza degli aggregati politici in qualunque situazione. Forse. Però a mitigare gli entusiasmi dovrebbe concorrere il fatto che il proporzionale comporta la presenza di partiti forti e strutturati: di grazia, dove sono? Ecco perché quel “per forza” è bifronte: laccio al collo e opportunità contemporaneamente. In pochi mesi si capirà se prevale il primo o se arrenderci alla seconda.