Il governo Conte 1 univa due forze divergenti e antagoniste, definite spregiativamente populiste oppure di “dilettanti” e “truci”. Eppure nonostante questo, quel governo aveva un carattere nazionale in grado di rapprensentare il Nord leghista e il Sud pentastellato. C’era il Contratto ma si capì subito che sotto quei fogli si nascondeva una conflittualità permanente, specialmente nella “Questione meridionale”. In effetti, la ministra Barbara Lezzi, pentastellata, ha difeso fino all’ultimo le ragioni del Mezzogiorno, scontrandosi con la Lega e bloccando la riforma delle autonomie regionali propugnata da Salvini e dalle regioni del Nord, nonché da milioni di elettori che avevano votato a favore del referendum.

C’è da dire che il problema della autonomie regionali o meglio ancora di un ponderato rapporto fra Stato centrale e autonomie locali, si trascina da tempo. Anzi incombe da sempre sulla politica italiana. La spesa c’è, è il Nord che manca

Si pensi al pasticcio della riforma del Titolo Quinto nel 2001 e alle competenze concorrenziali, che di fatto hanno portato la spesa pubblica e la pressione fiscale a rincorrersi senza una definizione precisa dei compiti e dei costi.

Nel governo Conte 2 la discrasia Nord- Sud sembra il dato più evidente e pericoloso. A partire dal fatto che i ministri del Nord sono una esigua minoranza: 8 su 27. Una discrasia resa ancora più grave qualora si tenga presente il peso economico, sociale e demografico delle due parti della penisola. Se poi si ponesse attenzione al programma del Conte 2, per quanto raffazzonato all’ultimo momento, si scoprirebbe che nei tanti punti programmatici prevale la spesa che, per quanto concordata, non è meno pesante del precedente accordo di governo. Ci si fida della disponibilità della UE e si spera nella flessibilità che verrà accordata dal nuovo governo. Tuttavia, come si è visto in passato, la flessibilità senza misure strutturali di revisione della spesa pubblica e di riduzione del deficit si risolverà, come già avvenuto, in un aumento del già pesantissimo debito pubblico. Basterà il riaccendersi di qualche scaramuccia sulle misure economiche e il nuovo governo si troverà a fronteggiare le minacce dei mercati, gli unici in grado di utilizzare a loro piacere il diritto di voto. Con esiti assai più minacciosi di quello degli italiani e persino dei “tastieristi” della piattaforma Rousseau.

Infine, mi si permetta un’ultima osservazione. Il sistema politico italiano è da tempo sballottato da leggi elettorali che sono come placebo per le nostre malandate Istituzioni. Molti cercano il Centro che nei sistemi proporzionali ha un ruolo importante come sanno gli italiani del tempo della Prima Repubblica. Oggi, sotto i nostri occhi il Centro è occupato dai Cinquestelle, ex partito antisistema. Che non sono la Dc.