«Mi chiama a cinque minuti dall’annuncio della lista dei ministri. Ci sono due conferme decisive: Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede. E come il presidente del Consiglio ha garantito discontinuità, mi aspetto che discontinuità vi sia anche nell’azione del ministro della Giustizia». Gennaro Migliore parte da qui. Come dire: buongiorno.

Il punto è che il deputato dem a via Arenula ha trascorso oltre due anni e mezzo. Da sottosegretario. Ha visto il fiorire e il germogliare di tanti provvedimenti sulla giustizia nella scorsa legislatura. Anche di quelli di cui s’era occupato con maggiore personale cura, come la riforma penitenziaria. Alcuni di quei germogli li ha poi visti falciati dalla scure del governo gialloverde. E non c’è da meravigliarsi se ora chiede di cambiare passo nell’ambito forse più delicato per la neonata maggioranza.

Onorevole, il carcere è una ferita che sanguina, e sanguina per limiti attribuibili non solo all’esecutivo uscente.

Vorrei partire da alcuni aspetti generali. Primo: mi coglie in un momento di particolare soddisfazione. Se siamo arrivati alla presentazione di una lista di ministri è per l’iniziativa assunta da Renzi e di cui altri, come il sottoscritto nel suo piccolo, hanno contribuito. La missione era forse non impossibile ma certo molto difficile: invece siamo riusciti a sconfiggere Salvini e la sua ambizione di ottenere pieni poteri. Secondo aspetto, che ribadisco: la conferma dei soli Conte e Bonafede è sintomatica, dal punto di vista del Movimento 5 Stelle, e spero che il guardasigilli, come il premier, sappia assicurare una sana discontinuità a questa seconda fase del suo dicastero.

Altrimenti la giustizia sarà un terreno di scontro fra Pd e M5S?

Non parlo di scontro politico. Bonafede ora è il ministro del mio governo. Spero semplicemente che all’annunciato passo indietro sulle enormità anticostituzionali di Salvini corrisponda una revisione delle politiche sulla giustizia.

Faccia esempi.

Va abbandonato il populismo penale, che nella fase gialloverde ha toccato il suo picco massimo con la legittima difesa. Ma serve anche un confronto in Parlamento per trovare soluzioni adatte a risolverli, i problemi della giustizia, anziché aggravarli.

Questo in generale. Ma sul carcere, in particolare, si riconsidera tutto?

E la prima risposta che va data, io credo. Va recuperata una politica carceraria che ora mi pare del tutto abbandonata. È stata la prima vittima del governo gialloverde. E gli effetti sono sotto gli occhi di qualsiasi persona di buonsenso: rivolte, deficit di tutela per gli agenti, nessun decongestionamento ma, al contrario, un incremento delle presenze negli istituti. Credo che il tema debba essere trattato con concretezza, sulla base della Costituzione e dell’efficienza del sistema.

E la prescrizione?

Lo considero il secondo tema in ordine d’importanza. Va verificato quali sono i termini in cui intervenire. Serve un tagliando in tempi brevi, visto che poi a gennaio la nuova norma entra in vigore. Noi abbiamo espresso forti perplessità sull’abolizione dell’istituto dopo la sentenza di primo grado, innanzitutto riguardo al funzionamento del processo, che anziché accorciarsi si allungherebbe. E poi c’è un nodo di fondo: bisogna distinguere tra diverse condizioni processuali.

Si riferisce all’esito del primo grado di giudizio?

Premesso che dal punto di vista personale considero la prescrizione un istituto di garanzia per l’imputato a cui non si dovrebbe rinunciare, credo sia evidente a tutti che non si può mettere sullo stesso piano l’abolizione della prescrizione per chi in primo grado è assolto con il caso di chi è condannato. È un’enormità che va affrontata: come si fa a sostenere che chi è stato assolto può restare esposto al rischio di essere sotto processo a tempo indeterminato?

Lei dice che il populismo penale va superato: obiettivo sacrosanto, ma da dove si inizia?

Il cuore della questione è il giustizialismo mediatico, che mi pare abbia fatto male all’autorevolezza della stessa giurisdizione.

Vuol dire anche che andrebbe limitata la diffusione delle intercettazioni: cercherete di non dismettere la riforma Orlando?

Vorrei ricordare che quel testo, la cui efficacia è stata congelata fino all’inizio del 2020, non faceva altro che generalizzare le buone pratiche adottate da procuratori come Pignatone a Roma, Spataro a Torino, Colangelo a Napoli. In particolare si danno linee guida sulla circolazione del materiale non rilevante dal punto di vista penale. Ora, noi non possiamo immaginare che il nuovo governo nasca a partire da una sfiducia nei confronti della Costituzione, e cioè dall’idea per cui si debba parlare di presunti colpevoli anziché di presunti innocenti.

Quindi cercherete di preservare la norma per cui, negli atti di pm e gip, vanno richiamati solo i brani essenziali delle intercettazioni?

Ci sono due approcci molto distanti: è chiaro che io, Partito democratico, non pretendo di avere ragione al 100 per 100, ma neppure il mio interlocutore dovrebbe pensare di averla. Va superata la logica del contratto gialloverde per cui si manda giù una legge indigesta in cambio di un provvedimento che risulta indigesto alla controparte. Serve il metodo del confronto, in Parlamento e tra le forze politiche.

La riforma del Csm è già nelle bozze del programma.

È uno snodo importante al pari del carcere e della prescrizione: il sistema per eleggere i consiglieri togati va rivisto, ma non con un sorteggio incostituzionale. Credo anche sia opportuno che i capi delle Procure possano stabilire una selezione di priorità nell’esercizio dell’azione penale. Lasciare che tale selezione resti del tutto discrezionale espone a distorsioni.

C’è già la legge costituzionale sulla separazione delle carriere, promossa dall’Ucpi, che affida a una legge del Parlamento l’indicazione delle priorità.

Sono per arrivare a una distinzione sempre più marcata tra inquirenti e giudicanti: la discussione attorno a quella proposta, dunque, non mi spaventa. Ma sono estremamente contrario all’indicazione delle priorità da parte del Parlamento: è una cosa deleteria, lo dimostrano i casi della Polonia e dell’Ungheria, dove alla fine decide chi governa. L’indipendenza e l’autonomia della magistratura vanno preservate. Così come credo nella necessità di assicurare maggiori risorse alla giustizia non solo per incrementare il numero di magistrati e di assistenti giudiziari, ma anche per assicurare al processo civile, innanzitutto, una definitiva svolta tecnologica. Le intese si troveranno.

Le troverete anche sull’avvocato in Costituzione, riforma già incardinata al Senato?

Ero d’accordo già da sottosegretario alla Giustizia. Oltre che sul rango costituzionale del difensore, si dovrebbe ragionare anche su aperture come quella della piena partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari, pur con tutte le cautele relative all’esercizio concreto della giurisdizione. Ma certo, la centralità del diritto di difesa va agganciata anche al riconoscimento nella Carta del ruolo dell’avvocato.