Il  sospiro di sollievo per l’accantonamento della rivendicazione dei pieni poteri da parte di Matteo Salvini ha avuto breve durata. L’elenco dei venti punti del programma di governo presentato da Luigi Di Maio la scorsa settimana sotto forma di ultimatum al Partito democratico è parso alla stregua del capriccio di un bimbo che vuole la marmellata.

Ci troviamo di fronte a un Vice- presidente del consiglio e ministro di un governo – sia pure sfiduciato - che sembra concepire il dialogo politico come un mero atto di forza – all’insegna del prendere o lasciare – cioè l’esatto contrario della politica. Quella vera, che dovrebbe essere in primo luogo ascolto e confronto con le ragioni e le esigenze della controparte, pronti a reciproche rinunce e modifiche, premesse indispensabili della sincera volontà di raggiungere un accordo.

Sorge allora il sospetto che in realtà Di Maio non sia interessato ai 20 punti del programma, ma abbia alzato la posta in vista di un obiettivo esclusivamente personale: per il capo dei Cinque Stelle la marmellata è conservare nel futuro governo le posizioni di vice premier e titolare di un ministero di rilievo. Obiettivo talmente evidente da non poter essere smentito da un programma di governo di per sé divisivo e presentato con modalità inaccettabili e altrimenti inspiegabili.

In questa modesta e tutto considerato deprimente vicenda, che occupa le cronache politiche da sin troppi giorni, vi è un secondo aspetto che suscita più fondate ragioni di inquietudine.

Il capo dei Cinque Stelle e il Movimento hanno annunciato che la formazione del nuovo governo verrà sottoposta al voto degli iscritti alla piattaforma Rousseau, presumibilmente prima che il presidente incaricato Giuseppe Conte salga al Quirinale per sciogliere la riserva. Quale che sia l’esito del voto, il ricorso alla piattaforma Rousseau verrebbe di fatto a interferire in modo improprio con quanto la Costituzione prevede sul procedimento di formazione del governo.

Nel solco della democrazia parlamentare rappresentativa, la formazione del governo è disciplinata dagli articoli 92, 93 e 94 della Costituzione, da cui risulta che protagonisti esclusivi del procedimento sono il Presidente della Repubblica, il Presidente del consiglio incaricato e il Parlamento: il primo nomina il Presidente del Consiglio e su sua proposta i ministri; a sua volta il governo entro dieci giorni dalla sua formazione deve presentarsi al Parlamento – Camera e Senato - per ottenere la fiducia.

La consultazione della piattaforma Rousseau - organo sottratto a qualsiasi controllo esterno circa il numero degli iscritti e la garanzia che i quesiti siano formulati in modo corretto e non suggestivo – comporterebbe quindi una violazione delle esclusive prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio e del Parlamento.

Mattarella, sempre consapevole della funzione super partes che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, non ha manifestato pubblicamente la sua contrarietà per il modus procedendi del capo dei CinqueStelle, ma Giuseppe Conte, nella sua veste di esponente del potere esecutivo e numerosi parlamentari non hanno mancato di segnalare questa scorretta invasione di campo.

Forse sarebbe il caso che Luigi Di Maio, prima di evocare più o meno fantasiose forme di democrazia diretta, riflettesse sulla portata dell’articolo 1 comma 2 della Costituzione, ove con grande linearità e chiarezza si afferma che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Ebbene, nel procedimento di formazione del governo il popolo interviene nella “forma” della sua rappresentanza parlamentare mediante il voto di fiducia di Camera e Senato. In tale procedimento giustamente la Costituzione non ha previsto forme di partecipazione diretta del popolo, al fine appunto di evitare confuse sovrapposizioni di organi e di funzioni.

Con buona pace di Di Maio la consultazione della piattaforma Rousseau dovrebbe essere rinviata ad altra occasione, nel rispetto delle forme e dei limiti entro cui la Costituzione consente l’esercizio diretto della sovranità popolare. Purtroppo, e con le conseguenze del caso, così non accadrà.