E così ci voleva un’italiana di confine come Julia Unterberger, con la leggerezza di un’Heidi piovuta al Colle, a cui “tanti politici italiani” devono sembrare tamarri infrequentabili perché “urlano sempre”, rispetto a Lui “che ci è sembrato così diverso, con quel suo modo neutro e istituzionale, lui che è elegante rispetto agli altri che usano solo i social” ( e adesso a Calenda chi glielo dice?), insomma ci voleva lei, altoatesina, per riportare alla luce la primazia dell’estetica rispetto a qualunque contenuto, sempre che non si voglia scomodare il filosofo per cui forma è decisamente sostanza.
Ma qui, più che filosofeggiare, la deputatessa Unterberger, che guidava la delegazione delle Autonomie al Quirinale, intendeva rappresentare un fronte, lo chiameremmo «fronte della pochette», quei piccoli lembi di seta virginali che spuntavano dal taschino della giacca del presidente Conte, mentre si esibiva nel suo forbito addio al Paese, addio che vedremo tra qualche giorno se definitivo o soltanto momentaneo.
Vista la situazione generale, ci sarebbe solo da interrogarsi su un punto, che ci riguarda e molto da vicino.
Abbiamo abbassato la nostra asticella del gusto, della soddisfazione politica, sino al punto da ridurci in una miserella “comfort zone”, dove ai contenuti, alla profondità, anche al semplice rispetto delle istituzioni, opponiamo, per sentirci appena appena sereni, un abito di sartoria tagliato magistralmente da Caraceni?
E allora i polsini alla camicia, le cifre sulla medesima a testimonianza d’essere veramente noi e nessun altro, i risvolti ai pantaloni alti 4 centimetri e non di meno, le asole tagliate, e infine la patta, senza quell’orrenda zip semplificativa, ma con quattro splendidi bottoni che se se davvero ti scappa d’urgenza sei praticamente rovinato?
Ogni epoca ha davvero la sua eleganza, che un tempo avremmo immaginato più interiore che esteriore. Su questo, concedeteci almeno una modesta rampogna. La nostra idea di eleganza, quella che in qualche modo rassicurava i cittadini, portava con sé una parolina magica: rigore.
Il rigore del politico, la sua discrezione, latitudine opposta agli sguaiati, il silenzio operoso, il sorriso appena accennato. Tutto un po’ sullo sfondo, senza uso di riflettori. Ma se il gioco dell’oggi è quello di mostrarsi per mostrare, anche nella nostra retroguardia nostalgica cediamo volentieri alla bassa marea del gusto: parallelamente alla crisi, si avviino consultazioni tardo- estetiche per decidere della nostra felicità politica. Mattarella con il suo tre bottoni di foggia antica ci sarà di conforto.
L’eleganza che nobilita un addio
E così ci voleva un’italiana di confine come Julia Unterberger, con la leggerezza di un’Heidi piovuta al Colle, a cui “tanti politici italiani” devono sembrare tamarri infrequentabili perché “urlano sempre”, rispetto a Lui “che ci è sembrato così diverso, con quel suo modo neutro e istituzionale, lui che è elegante rispetto agli altri che usano solo i social” ( e adesso a Calenda chi glielo dice?), insomma ci voleva lei, altoatesina, per riportare alla luce la primazia dell’estetica rispetto a qualunque contenuto, sempre che non si voglia scomodare il filosofo per cui forma è decisamente sostanza.
Ma qui, più che filosofeggiare, la deputatessa Unterberger, che guidava la delegazione delle Autonomie al Quirinale, intendeva rappresentare un fronte, lo chiameremmo «fronte della pochette», quei piccoli lembi di seta virginali che spuntavano dal taschino della giacca del presidente Conte, mentre si esibiva nel suo forbito addio al Paese, addio che vedremo tra qualche giorno se definitivo o soltanto momentaneo.
Vista la situazione generale, ci sarebbe solo da interrogarsi su un punto, che ci riguarda e molto da vicino.
Abbiamo abbassato la nostra asticella del gusto, della soddisfazione politica, sino al punto da ridurci in una miserella “comfort zone”, dove ai contenuti, alla profondità, anche al semplice rispetto delle istituzioni, opponiamo, per sentirci appena appena sereni, un abito di sartoria tagliato magistralmente da Caraceni?
E allora i polsini alla camicia, le cifre sulla medesima a testimonianza d’essere veramente noi e nessun altro, i risvolti ai pantaloni alti 4 centimetri e non di meno, le asole tagliate, e infine la patta, senza quell’orrenda zip semplificativa, ma con quattro splendidi bottoni che se se davvero ti scappa d’urgenza sei praticamente rovinato?
Ogni epoca ha davvero la sua eleganza, che un tempo avremmo immaginato più interiore che esteriore. Su questo, concedeteci almeno una modesta rampogna. La nostra idea di eleganza, quella che in qualche modo rassicurava i cittadini, portava con sé una parolina magica: rigore.
Il rigore del politico, la sua discrezione, latitudine opposta agli sguaiati, il silenzio operoso, il sorriso appena accennato. Tutto un po’ sullo sfondo, senza uso di riflettori. Ma se il gioco dell’oggi è quello di mostrarsi per mostrare, anche nella nostra retroguardia nostalgica cediamo volentieri alla bassa marea del gusto: parallelamente alla crisi, si avviino consultazioni tardo- estetiche per decidere della nostra felicità politica. Mattarella con il suo tre bottoni di foggia antica ci sarà di conforto.
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