Sorpreso, infastidito, frastornato. Matteo Salvini, il leader politico più amato dagli italiani, sembra a disagio mentre il premier certifica la fine dell’esperienza giallo- verde.

Deve persino sgomitare con qualche collega grillino per poter sedere al suo posto. Scuote il capo per tutto il tempo in cui parla Giuseppe Conte. E quando finalmente prende la parola, trasferendosi sui banchi del suo gruppo parlamentare, prova a rispondere alla lista infinita di accuse nei suoi confronti appena pronunciate dal presidente del Consiglio dimissionario.

«Rifarei tutto quello che ho fatto con la grande forza di essere un uomo libero», scandisce il ministro dell’Interno appena la presidente Casellati lo autorizza a parlare. «Non ho paura del giudizio degli italiani. Chi ha paura del giudizio del popolo italiano non è un uomo libero, è il sale della democrazia», afferma Salvini, mentre già M5S e Pd cominciano a scalpitare.

«La libertà non consiste nell'avere il padrone giusto ma nel non avere nessun padrone», dice, citando Cicerone. «Non voglio una Italia schiava di nessuno, non voglio catene, non la catena lunga. Siamo il Paese più bello e potenzialmente più ricco del mondo e sono stufo che ogni decisione debba dipendere dalla firma di qualche funzionario eruopeo, siamo o non siamo liberi?», insiste il leader della

Lega, rivendicando la visione sovranista della propria azione di governo. Ogni frase è interrotta da applausi e urla che si confondono nella bolgia parlamentare. Qualche senatore del Pd mostra cartelli con la scritta «Capitan Findus» immediatamente requisiti dai commessi del Senato.

Poi Salvini prova a rispondere a Conte nei venti minuti di intervento che gli sono concessi. «Mi dispiace che lei mi ha dovuto mal sopportare per un anno, l’ho scoperto oggi», dice, rivolgendosi direttamente al capo del governo.

«Mi ha definito pericoloso, autoritario, opportunista. Bastava il Saviano di turno a raccogliere tutta questa sequela di insulti, bastava il Travaglio, un Renzi, non il presidente del Consiglio», replica. «A proposito di interessi di partito», prosegue, riferendosi alle accuse incassate poco prima, «a me non è mai capitato di parlare con Merkel chiedendo consigli per come vincere la campagna elettorale perché Salvini ha chiuso i porti... Ho chiuso i porti, l’ho fatto e lo rifarò: in Italia si arriva solo se si ha il permesso di arrivare», affonda il ministro dell’Interno.

«A me non è mai capitato di prendere un caffè con qualcuno perché “Salvini chiude i porti”», insiste, provando a mettere in difficoltà Conte, che ascolta senza scomporsi. «Lei mi accusa di aver convocato le parti sociali al ministero dell’Interno: l’ho fatto perché non le ascoltava nessuno», continua, affrontando un altro dei temi messi sul piatto dal premier. Che poi prova ad allontanare da sé la responsabilità della crisi di governo.

Chi ha certificato la fine dell’esperienza di governo non è la Lega, ma il Movimento 5 Stelle, è il ragionamento salvianiano, che «la settimana scorsa le ha votato la sfiducia dicendo “no” alla Tav di cosa stiamo parlando?». La maggioranza giallo- verde si è schiantata «perché da mesi c’erano dei signor “no” che bloccavano tutto quanto. Per settimane e per mesi ho detto alle nostre donne e i nostri uomini “Andiamo avanti perché io ci credo, ho fiducia”».

Invece «se da settimane, se non da mesi, qualcuno pensava a cambi di alleanze non aveva che da dirlo in quest’aula», tuona Salvini, sommerso dalle ovazioni dei suoi. «Se volete governare con i Renzi, i Boschi e i Lotti, auguri». Dice, ironico, di essere l’unico «presunto fascista» della storia a volere elezioni. Ma «Per non votare a ottobre ci sono parlamentari che appoggerebbero pure il governo della Fata Turchina».

C’è spazio per replicare anche alle accuse mosse da Conte sulla strumentalizzazione dei simboli religiosi a scopi elettorali. «Gli italiani non votano in base a un rosario, ma con la testa e con il cuore», spiega Salvini, che durante il discorso del premier aveva baciato un rosario. «La protezione del cuore immacolato di Maria per l’Italia la chiedo finché campo, non me ne vergogno, anzi sono l’ultimo e umile testimone». Il Pd insorge, qualcuno urla, tra l’ilarità generale, «facci vedere le stimmate», mentre il ministro dell’Interno lascia fare. Anzi, cita anche Giovanni Paolo II, per non farsi mancare nulla.

Salvini attacca ma non sembra convintissimo della propria linea. Dopo aver risposto a muso duro agli ex alleati, riapre spiragli di dialogo. «Siamo pronti ad andare avanti», dice, tra lo stupore generale. «Se volete tagliamo i parlamentari e poi andiamo a votare. Ci siamo anche per fare una manovra economica coraggiosa e tagliare le tasse a milioni di italiani».

La svolta però sembra tardiva. Di Maio e Toninelli sorridono e scuotono la testa. «Non coltiverò mai la rabbia e il rancore che sento da parte di qualcuno: omnia vincit amor, l’amore vince sempre, non ho paura», conclude il vice premier. E in serata la Lega ritira la mozione di sfiducia. Ma Conte è già al Colle.