Per come si stanno mettendo le cose, è come se le lancette della politica avessero preso a viaggiare a ritroso, nell’intento di azzerare un anno e mezzo di legislatura e di governo gialloverde con Giuseppe Conte premier, così tornando alla situazione del 5 marzo 2018. Con la differenza che, esaurita la fase del “Contratto” Lega- Cinquestelle, adesso ci si volge verso un’intesa - tutta da costruire sia nelle forme che nei contenuti e su entrambi i versanti assai perigliosa - tra i grillini ed il Pd.

Ovviamente non è così. Si può anche voler ricominciare daccapo, ma non è possibile farlo evitando di spiegare ai cittadini con chiarezza e senza strumentali infingimenti, qual è il bilancio di ciò che è accaduto da 17 mesi a questa parte.

Giuseppe Conte si presenterà martedì 20 al Senato per dare la sua versione della crisi. Illustrerà il lavoro fatto «non dalle spiagge» ; criticherà Matteo Salvini per aver deciso di affondare esecutivo e maggioranza. Tutto legittimo. Tuttavia sarebbe quanto meno sconcertante immaginare che nessuno faccia ammenda per quanto accaduto. A partire da Matteo Salvini, che alle elezioni si presentò in alleanza con Berlusconi e la Meloni e in quell’assetto salì al Colle per le consultazioni salvo poi clamorosamente optare per l’abbraccio con Luigi Di Maio in nome del “cambiamento”. Frantumatosi in pochi mesi.

Proseguendo con il capo politico del MoVimento, capace di dimezzare il suo fantastico bottino elettorale e nell’azione di governo - che doveva eliminare la povertà, portare a Caporetto il precariato e dare ristoro ai giovani disoccupati col reddito di cittadinanza - rimasto impaniato nella tenaglia tra promesse populiste e vincoli della realtà.

Per finire con il Pd e il segretario di allora che, bruciando sul nascere ogni timida avance in senso contrario, si schierarono senza se e senza ma contro una possibile intesa con i Cinquestelle, non temendo di usare tutti i mezzi, trasmissioni tv comprese, per fare terra bruciata attorno a Di Maio.

Fallita l’esperienza populista- sovranista, con disinvoltura battezzata mosca cocchiera dello sgretolamento della vecchia politica italiana ed europea e invece finita a sua volta sgretolata, l’orologio della politica ricomincia a battere. Ma cancellare il tempo trascorso non si può. E tanto meno le responsabilità.