Sembrerebbe destinata a rimanere nel libro dei sogni la riforma della giustizia fortemente voluta da Alfonso Bonafede. Dopo mesi di accese discussioni, la settimana scorsa il testo era approdato finalmente in Consiglio dei ministri. Approdato e però subito stroncato da Matteo Salvini.

«Si sono fatti fregare...», disse il vice premier a proposito dei 5 stelle che si sarebbero fatti «scodellare un testo da gattopardi, che non cambia nulla, scritto dai magistrati del Ministero». Un riferimento soprattutto al capo dell'ufficio legislativo di via Arenula, Mauro Vitiello, toga di Magistratura democratica, che avrebbe cassato molti dei desiderata leghisti.

Fra i magistrati di sinistra e Salvini non è mai corso buon sangue. Anzi. Non si contano i duri comunicati di Md e di Areadg, il cartello delle toghe progressiste, contro le politiche sulla sicurezza del ministro dell’Interno. Legittima difesa, lotta alle Ong, contrasto dell’immigrazione, eliminazione del rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo, sono tanti i temi che hanno acceso in questi mesi lo scontro. Oltre alle polemiche verbali contro i giudizi non “graditi” di singoli magistrati. Come quelli dell’ex procuratore di Torino, Armado Spataro, contrario alla chiusura dei porti. “Si candidi e si faccia eleggere”, fu la secca risposta di Salvini.

Tornando, comunque, alla maxi riforma della giustizia voluta dal Guardasigilli, al leader della Lega non è mai piaciuto l’approccio di fondo da parte dei pentastellati. Troppo “schiacciato” sui magistrati. Se la parte riguardante il processo civile poteva anche passare, il penale si è trasformato nella tomba del contratto di governo sulla giustizia. «La riforma della giustizia di Bonafede è acqua», dichiarò Salvini una volta letto il testo definitivo, sottolineando come non ci fosse «veramente uno scatto in avanti, quella differenza che gli italiani si aspettano».

«C’è un progetto della Lega - aggiunse - che prevede che un processo possa durare tre anni e sei mesi, quasi la metà di quello che avviene oggi. Questa riforma non prevede interventi incisivi, non si parla di separazione delle carriere, delle assunzioni dei magistrati, dei criteri dei concorsi, delle promozioni». Per il capo del Carroccio, «non si interviene sulle attenuanti generiche, sulla sospensione condizionale della pena, ci sono spacciatori o stupratori che vengono condannati sulla carta, ma con la sospensione condizionale della pena fanno 24 ore di galera e poi tornano a spacciare e a stuprare. Non si tocca il tema intercettazioni, si lascia totale discrezionalità alle diverse procure su cosa indagare o non indagare. Non si separano i Csm».

Insomma, una bocciatura su tutta la linea. Eppure va dato atto a Bonafede di averci provato seriamente, elaborando un testo dopo una lunga interlocuzione con tutti gli attori del processo e la comunità dei giuristi. Un compito immane in un Paese dove la giustizia è da sempre materia divisiva è strumento per regolare i conti. Da un esponente del M5s non si poteva pretendere una sensibilità “berlusconiana” sul punto: nessun attacco a testa bassa dei magistrati, soprattutto di quelli che per Salvini fanno “politica”.

Alla fine, però, la riforma del Guardasigilli scontentava un po’ tutti: i magistrati prevedendo il sorteggio per l’elezione dei componenti togati del Csm, gli avvocati non toccando l’unicità della giurisdizione. Quindi non proprio una riforma “filo magistrati”. Con la fine della legislatura si arenano anche i progetti di modifica della giustizia tributaria. E finisce in soffitta anche la separazione delle carriere, la cui discussione era in calendario alla riapertura della Camera, il 9 settembre. 72mila erano state le firme raccolte al riguardo dalle Camere penali lo scorso anno. A chi prenderà il testimone di Bonafede il compito di riprovarci.