I nodi irrisolti sono ancora tutti lì: Tav, Decreto sicurezza bis, Autonomie e adesso anche riforma della giustizia. Movimento 5 Stelle e Lega continuano a dissentire su quasi tutto ma nessuno vuole assumersi la responsabilità di staccare la spina al governo per due paure contrapposte: Luigi Di Maio teme le urne con M5S quotato attorno al 17 per cento e Matteo Salvini sospetta che il Quirinale non permetterebbe uno scioglimento anticipato delle Camere, consegnando di fatto al Carroccio il monopolio della prossima legislatura.

Solo un incidente parlamentare, provocato o accidentale, potrebbe dunque porre fine all’esperienza del “cambiamento” e i primi giorni d’agosto sono costellati di “trappole” e potenziali “agguati” d’Aula.

Decreto sicurezza bis Il decreto sicurezza bis approderà a Palazzo Madama il 5 agosto, con il voto sulle pregiudiziali. La Lega ha già annunciato di voler blindare il testo con un voto di fiducia ( sono 1.200 i provvedimenti arrivati in commissione Affari costituzionali) in modo da approvarlo prima del 13 agosto, ultima data utile per convertire in legge il decreto, ma i grillini vorrebbero evitare una contrapposizione frontale.

Più di un senatore M5S, infatti, potrebbe scegliere di non votare il provvedimento confezionato da Salvini: una sciagura per Di Maio, che ha già ottenuto il sì dai suoi a Montecitorio.

La senatrice ribelle Elena Fattori ha già annunciato il suo voto contrario, ma potrebbe non essere l’unica. Ostilità al dl sicurezza viene manifestata anche «da parte di senatori insospettabili», fanno sapere dal gruppo pentastellato a Palazzo Madama, dove i numeri della maggioranza sono appesi a un filo.

Altre defezioni metterebbero seriamente a rischio il provvedimento e la stessa tenuta dell’esecutivo, per questo la diplomazia grillina si è messa al lavoro per convincere i dissidenti a uscire dall’Aula, evitando il voto contrario. Tecnicismi per prolungare la vita dei giallo- verdi al potere.

Tav Qualora Di Maio riuscisse a convincere i senatori del suo partito a evitare la sfiducia, dovrebbe comunque disinnescare, subito dopo, un altro ordigno ad alto potenziale da lui stesso attivato: la mozione sulla Tav. Anzi, le mozioni, una del Pd e una del M5S, contrapposte.

La discussione al Senato è prevista per il 7 agosto e anche se l’esito deil voto non sarà comunque vincolante per il governo, la maggiore forza parlamentare del Paese rischia di essere messa in minoranza dall’alleato e dalle opposizioni.

«Il partitone dei supporter della Torino- Lione vede schierati dalla stessa parte Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Partito Democratico», si legge su un post pubblicato sul Blog, in cui vengono iscritti d’ufficio al “partitone” SìTav anche economisti, giornalisti e Confindustria, banche e palazzinari. «E naturalmente gruppi d’affari francesi».

Soltanto «il M5s non è mai salito sul treno nel quale oggi troviamo stipati i tantissimi “ultras” del Tav. Diversi tra loro solo in apparenza, ma in realtà uguali nel fanatismo a sostegno di un’opera inutile, dannosa, antidiluviana e dai costi tutt’altro che certi».

Ma se su quel treno è seduto anche l’alleato Salvini, perché i grillini alzano la voce ma non ne prendono atto? La risposta a questa domanda è forse possibile rintracciarla alla fine del post. «Nel Parlamento sovrano vedremo chi darà il disco verde a questo treno che viaggia già fuori dalla storia».

5Stelle spaccati e Autonomie I vertici movimentisti, in altre parole, sanno perfettamente come andrà a finire in caso di conta, ma hanno bisogno di mettere agli atti il loro “no” per non scontentare un elettorato storico in libera uscita già da tempo.

Politicamente, però, la marginalizzazione del partito di maggioranza non sarebbe poca cosa. Sullo sfondo del duello di maggioranza resta la madre di tutte le battaglie a innervosire gli animi tra soci di governo: le Autonomie differenziate.

La Lega dei governatori Luca Zaia e Attilio Fontana non può rinunciarci, ma i cinquestelle continuano a prendere tempo per poter ritoccare la riforma. Erika Stefani, ministra leghista per gli Affari regionali inizia a spazientirsi e accusa Di Maio di volersi rimangiare «lealmente la parola e l’impegno di cui il presidente Conte è garante».

Il partito nato al Nord non ammette più ritardi, consapevole di disporre di un’arma contrattuale potentissima per persuadere l’alleato: la riforma della Giustizia targata Alfonso Bonafede, appena approdata in Cdm tra mille scintille. «È acqua, è il momento del coraggio, delle grandi riforme, non delle riformine», è il messaggio consegnato da Salvini al Movimento 5 Stelle. Senza garanzie sulle Autonomie, il sogno di Bonafede potrebbe rimanere tale.