A tre anni dalla scomparsa di Alessandro Margara, il magistrato che trattava i detenuti come uomini, il garante regionale dei detenuti della regione Toscana Franco Corleone ha presentato un testo dedicato al magistrato scomparso “Carcere e giustizia, ripartire dalla Costituzione”. Il convengo si è tenuto lunedì scorso presso la sede del Consiglio regionale della Toscana, una sala gremita nonostante il periodo estivo.

Un pensiero, quello di Margara, che oggi è più che mai attuale. Parliamo dell’uso populistico della giustizia penale e del carcere come armi contro i nemici sociali. Le notizie recenti di cronaca, dimostrano quanto tutto ciò si sia ormai esacerbato. Corleone, incalzato dai giornalisti, ha dato infatti la sua opinione. L'immagine del ragazzo bendato fermato per l'omicidio di un carabiniere a Roma è «stupida – ha spiegato il garante regionale–, non aiuta la giustizia. Anzi, rischia di compromettere la fase processuale e la ricerca della verità per un fatto che è di una gravità straordinaria».

E sulla polemica politica che ha innescato, Corleone è stato ancora più chiaro: «Un surplus di accanimento. Se non si ha la concezione del diritto e dei diritti, ma ci si abitua solo all'uso della forza, si procede su un terreno estremamente pericoloso. Sentire frasi - ha continuato il Garante toscano - in cui si afferma che bisogna far marcire in carcere le persone è grave. Va contro i principi della Costituzione». Ed ecco che il pensiero va di nuovo a Margara, perché «può insegnare tanto», così come - ha lanciato un appello Corleone - «disubbidire alle leggi ingiuste e razziste è giusto».

In sala anche il difensore civico della Toscana, Sandro Vannini, che ha ricordato l'intensa collaborazione tra i due uffici in ambito sociale, Su questo si è inserita Camilla Bianchi, garante regionale per l'infanzia insediata di recente, puntando il dito su un sistema che può avere delle falle, facendo anche riferimento al caso di Bibbiano. Ma tutto il convegno è rivolto, appunto, al pensiero di Margara. Un magistrato lungimirante e che aveva concepito la figura del magistrato di sorveglianza, prima ancora che venisse istituito.

Infatti, appena la legge istituì i Tribunali di sorveglianza, Margara era già un veterano: affidargli la presidenza fu del tutto naturale, quasi un diritto acquisito. Da allora egli diventò per tutti “il Presidente”. Il segno della sua presenza nell'universo del carcere fu subito deciso e nuovissimo. Egli ha attraversato la dolente schiera dei carcerati senza blandirli, senza temerli, con una fermezza mite che ha indotto i detenuti a pensare che quello finalmente era un uomo. Perché li trattava da uomini, come appunto impone la Costituzione e le leggi. Il suo fine ultimo era quello di far diventare un carcere che puntasse all’emancipazione dell’uomo. Un carcere, però, proiettato verso la libertà. E, proprio per questo, licenze, permessi, misure alternative erano concessi da Magara con la bussola della Costituzione e il coraggio profetico di chi anticipa i tempi.

“Carcere e giustizia, ripartire dalla Costituzione”. Il libro, curato da Franco Corleone ed edito dalla Fondazione Michelucci Press, affronta a trecentosessanta gradi tutto ciò che gira intorno alle privazioni della libertà lungo il solco del pensiero lungimirante del magistrato Margara. Una raccolta di saggi con le firme autorevoli di Stefano Anastasia, Maria Luisa Boccia, Lucia Castellano, Luigi Ferrajoli, Patrizio Gonnella, Tamar Pitch, Andrea Pugiotto e Giovanni Salvi. Sono pubblicate le conclusioni degli otto laboratori tematici che hanno preparato l’incontro avuto a febbraio scorso: Città e sicurezza, Opg e Rems, 41bis ed ergastolo, droghe e carcere, gli spazi della pena, giustizia di comunità, Immigrazione e sicurezza, donne e carcere.

Come riferimento per la lettura del volume viene presentato il testo di Alessandro Margara su come rispondere alle leggi ingiuste e razziste, con le testimonianze di Francesco Maisto e Beniamino Deidda. Seguendo il pensiero di Margara sono state due le questioni messe al centro del dibattito: l’intreccio tra penale e politica, il significato che la giustizia e il carcere hanno assunto nel senso comune.

Il professore Luigi Ferrajoli ha messo in evidenza la cultura del garantismo che latita. «Il garantismo – si legge nel piccolo saggio di Ferrajioli - non è solo un sistema di limiti e vincoli al potere punitivo, sia legislativo che giudiziario, a garanzia delle libertà delle persone da punizioni eccessive o arbitrarie. Esso è ancor prima un sistema di regole razionali che garantiscono nella massima misura l’accertamento plausibile della “verità processuale”.

Ma è precisamente questa razionalità che non viene accettata né capita da gran parte dell’opinione pubblica, che aspira al contrario alla giustizia sommaria, tendenzialmente al linciaggio dei sospetti». Tema ripreso dalla giurista Tamar Pitch che mette in luce il cosiddetto “protagonismo della vittima”, il quale «può essere usato dai governi per indicare le vittime potenziali, ossia tutti noi (“perbene”) a rischio di offese da parte dei “permale”».

Concetto ripreso dal professore Andrea Pugiotto evidenziando come «il paradigma vittimario si salda con lo spirito del tempo, dominato dal risentimento che è “la chiave di ogni populismo”». Inevitabilmente nel saggio successivo si passa alla retorica della “certezza della pena”, ben sottolineata dal giurista e garante dei detenuti del Lazio e Umbria Stefano Anastasìa, la quale ritorna di nuovo nel linguaggio del “governo del cambiamento”.

Eppure Anastasìa spiega che «la prima confusione si fonda sul fatto che lo slogan della certezza della pena evoca il valore della certezza del diritto», mentre quest’ultimo «corrisponde alla sua prevedibilità, necessaria sia a orientare i comportamenti conformi alla legge, sia a giustificare le sanzioni per i comportamenti difformi» .

A questo concetto, si sussegue il saggio del procuratore generale Giovanni Salvi che mette in evidenza la percezione dell’insicurezza che fa i conti sulla realtà. Ma, sottolinea, che la percezione non è frutto dell’immaginazione. «Nell’anno passato – scrive il pg - vi sono stati nel comune di Roma solo dieci omicidi. È un numero davvero molto basso in rapporto alla popolazione.  Naturalmente per chi non vive al centro di Roma, per chi vive in un quartiere degradato questa è una cosa che non può essere immediatamente trasfusa dai numeri alla percezione».

Quindi, sottolinea che non bisogna disinteressarsi di queste percezioni, ma di capire «come reagire alla percezione dell’insicurezza». Il presidente di Antigone Patrizio Gonnella, che punta al rispetto della dignità umana del detenuto. Ma che non significa il rispetto del decoro. «La dignità come decoro – spiega Gonnella - è quindi il vestito superficiale con cui ci si presenta all’esterno. La dignità come umanità è invece il corpo e l’anima che sono sotto quel vestito».

C’è l’attuale garante dei detenuti di Milano Francesco Maisto, grande amico e compagno di lotte di Margara, che invita a riflettere al concetto di resistenza giudiziaria alle leggi ingiuste. “Un pensiero radicale fino alla disobbedienza”, non a caso è il titolo del suo saggio.