Luisella Battaglia dal 1999 è una delle componenti del Comitato che afferisce alla Presidenza del Consiglio e non nasconde la sua soddisfazione per un documento che riporta all’attenzione, con una complessità davvero rara, un tema di scottante attualità.

Non solo il suicidio assistito, ma in generale come la società, la politica, la cultura si debbano porre rispetto a questioni che vengono spesso affrontate sulla base di schieramenti l’un contro l’altro armati. Battaglia, che è ordinaria di Filosofia morale, nel 1993 ha dato vita anche all’Istituto italiano di bioetica, con lo scopo - ci spiega «proprio di superare le contrapposizioni ideologiche, la logica settaria». Lei ha votato a favore del suicidio assistito ma difende la complessità del parere del Comitato che dà conto anche della posizione contraria.

Nei giornali on line si parla di spaccatura perché, rispetto al documento da voi elaborato, hanno prevalso i sì. E’ una lettura esatta? Il nostro ruolo istituzionale è quello di animatori del dibattito pubblico e quello di consulenza rispetto al legislatore, entrambi questi aspetti sono stati rispettati ampiamente. Abbiamo infatti ridato centralità a un tema che si tende a rimuovere e abbiamo fornito al Parlamento un ottimo materiale su cui riflettere per poi approvare la legge. Ma non siamo un tribunale, il nostro fine non è emettere una sentenza. Il nostro fine è dar conto della complessità.

Non pensa quindi che aver tenuto conto di entrambe le posizioni possa risultare come un elemento di debolezza? Assolutamente no. Anzi, al contrario, proprio dando spazio alle ragioni di entrambe le posizioni abbiamo dato un segnale importante di pluralismo e di civiltà, in una società in cui spesso si tende a dimenticare questi valori. L’importante è che chi lo legge possa farsi una sua idea non fondata sul sentito dire ma sulla conoscenza delle diverse posizioni, anche quando non ha competenze specifiche.

Ci aiuta a spiegare quale è la differenza tra suicidio assistito ed eutanasia? L’eutanasia è un’azione tesa a provocare la morte. Il medico, su richiesta della persona malata, richiesta confermata più volte e in presenza di gravissime patologie, prepara un farmaco che viene somministrato. L’eutanasia è la morte che viene data. Si parla invece di suicidio assistito quando è la stessa persona che compie l’atto. Il medico o l’infermiere preparano il farmaco letale in presenza di patologie gravi e la stessa persona, ribadita la sua volontà più e più volte, compie da solo l’atto di morire. Nel caso di Dj Fabo, per esempio, nonostante le sue difficoltà si è fatto in modo che fosse lui stesso ad attivare l’atto. Nel nostro ordinamento ci sono due fattispecie di reato che spesso vengono chiamate in causa quando si parla di queste questioni: l’omicidio del consenziente e l’istigazione al suicidio. Bene, è importante sottolineare come il suicidio assistito non abbia nulla a che fare con l’istigazione al suicidio. Qui c’è una persona che chiede di essere aiutata, che è in grave condizioni e che esprime la sua volontà in maniera inequivocabile.

Il 24 settembre scade la data che la Consulta ha fissato perché venga approvata una legge. Quale vuol essere il vostro contributo? Il nostro documento vuole sollecitare il Parlamento ad arrivare al più presto ad approvare la legge. Noi abbiamo contribuito dando al legislatore, come nostro dovere, gli elementi sui cui discutere e poi costruire la norma. Non c’è nessuna invasione di campo, ma abbiamo fornito il materiale, da qui la necessità di tener conto della pluralità. Per approvare la legge sul cosiddetto testamento biologico ci sono voluti molti anni, speriamo che questa volta i tempi siano più rapidi.

Il suicidio è un atto che nella nostra cultura crea ancora problemi… Da una parte ci sono la cultura cattolica, che ha una visione negativa, e una parte della filosofia, pensiamo a Kant, che lo considera rinuncia ed abbandono. Dall’altra però c’è la tradizione rappresentata da Socrate e dagli stoici che invece ritiene il suicidio un atto di libertà. Inoltre è da tener presente il ruolo del medico. Secondo alcuni il suo intervento lo porterebbe a tradire il giuramento di Ippocrate. Ma non è così. E’ un ruolo anche questo che va rivisto anche in base agli sviluppi della tecnologia, da cui ci dobbiamo difendere. Ci sono persone che chiedono di morire e il medico deve poter accogliere questa richiesta.

I cattolici insistono: così non si rispetta la vita umana. Come risponde a questa affermazione dal punto di vista filosofico? Nel documento diamo ampiamente conto anche di questa posizione. Si è convinti che la vita sia sacra e che in qualche modo il singolo non ne disponga fino in fondo. C’è invece un’altra posizione, che io rappresento, che oltre alla vita biologica, considera quella biografica: al centro vengono messe dignità e autonomia.

Quale potrebbe essere una buona legge che tenga conto della complessità che lei ci sta aiutando a mettere in evidenza? Secondo me una buona legge è quella che contempla le diverse sensibilità che esistono nel Paese. Alcuni pensano che la strada migliore sia quella della depenalizzazione, ma io credo che non sia sufficiente e che il legislatore debba intervenire legalizzando. C’è chi a questo proposito evoca una sua distorsione o abuso: che cioè la legge diventi lo strumento con cui liberarsi di persone indigenti o che sono un peso per il servizio sanitario o sociale. Ma questa preoccupazione è facilmente superabile dettagliando bene la legge e predisponendo il monitoraggio della sua applicazione. In altri Paesi sono riusciti, non vedo perché non dobbiamo farlo anche noi. Chi chiede di essere accompagnato alla morte, non può essere lasciato solo.