Il ministro degli Interni, in merito al barbaro omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ha parlato di lavori forzati come pena da comminare all’omicida. Ma è il suo governo stesso che ha varato la riforma dell’ordinamento penitenziario dove valorizza il lavoro come opera trattamentale ma, soprattutto, rimuovendo il carattere dell’obbligatorietà del lavoro penitenziario, eliminando un riferimento normativo potenzialmente suscettibile di interpretazioni e letture non compatibili con le istanze rieducative della pena.

La riforma penitenziaria Ricordiamo che, dopo un iter di approvazione accidentato a causa delle tensioni politiche dovute alle elezioni ed al cambio di maggioranza parlamentare, sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i decreti legislativi attuativi della riforma penitenziaria, entrati in vigore il 10 novembre 2018.

Con specifico riferimento al lavoro penitenziario, la riforma introduce significative novità di rilevanza giuslavoristica. Preliminarmente, si rileva l’ampliamento degli elementi del trattamento rieducativo con la modifica dell’art. 15 : si introduce l’esplicito riconoscimento, quali elementi trattamentali, della formazione professionale e della partecipazione a progetti di pubblica utilità, che così acquisiscono la medesima dignità trattamentale del lavoro.

Prestazioni lavorative dei detenuti Il fulcro della revisione degli aspetti giuslavoristici dell’ordinamento penitenziario è la riscrittura dell’art. 20 dell’Ordinamento penitenziario che contiene importanti modifiche. Con la riformulazione del primo comma, si esplicita la possibilità ( in capo all’Amministrazione penitenziaria) di organizzazione e gestione di lavorazioni attraverso l’impiego di prestazioni lavorative di detenuti e internati.

Tale esplicitazione si realizza congiuntamente a un ampliamento, consistente nella possibilità di organizzare e gestire non solo lavorazioni ma anche servizi, e di poter fare ciò non solo all’interno ma anche all’esterno dell’istituto di pena.

La gestione e l’organizzazione delle lavorazioni, così come l’istituzione di corsi di formazione, resta ammessa anche ai soggetti terzi. In recepimento delle prassi interpretative successive alla legge Smuraglia, si ha anche sul piano formale l’estensione di tale facoltà dalle imprese pubbliche o private ad enti pubblici e privati.

Nessun obbligo Inoltre, è stata eliminata all’interno del testo normativo la specificazione dell’obbligo di sottoscrizione di una convenzione con la Regione per l’attivazione di corsi di formazione professionale da parte di soggetti privati. Ma la parte più interessante, come detto, è quella che - in conformità alle indicazioni sovranazionali - è stato rimosso il carattere dell’obbligatorietà del lavoro penitenziario.

Nel contempo c’è l’elevazione del lavoro volontario e gratuito dei detenuti nell’ambito di progetti di pubblica utilità a fattispecie autonoma e distinta dal lavoro esterno di cui all’art. 21 o. p., cui è riservato l’art. 21- ter o. p., con contestuale abrogazione del comma 4- ter dell’art. 21 o. p. In conformità a ciò, a differenza del precedente assetto normativo tale attività d’impiego del detenuto o internato può svolgersi anche all’interno degli istituti penitenziari, fermo restando che non possono in alcun caso avere ad oggetto la gestione o l’esecuzione dei servizi d’istituto.

È confermato che l’attività volontaria può consistere in attività da svolgersi a favore di amministrazioni dello Stato, regioni, province, comuni, comunità montane, unioni di comuni, aziende sanitarie locali, enti o organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato, sulla base di apposite convenzione, mentre è stato eliminato il profilo strettamente riparatorio consistente nel prestare la propria attività a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi.

La Corte europea Non a caso si parla di riferimenti sovranazionali. Secondo la Corte europea è possibile far lavorare gratis i condannati senza farli diventare schiavi a una sola condizione: il lavoro gratuito deve essere un’alternativa al carcere. Così la condanna assume un significato completamente diverso, non è più una punizione fine a se stessa, ma serve a riparare il danno arrecato dal reato.