Medici Senza Frontiere torna in mare a salvare vite. Ad annunciarlo è la stessa organizzazione internazionale, che tramite il proprio portale ha comunicato «la ripresa delle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale», condannando «l’inazione criminale dei governi europei». Il ritorno in mare avviene dopo due anni passati nel fuoco incrociato di diversi governi europei, impegnati nel tentativo di bloccare le azioni umanitaria nel Mediterraneo e «dopo la normalizzazione di politiche punitive che continuano a causare morti in mare e terribili sofferenze in una Libia devastata dal conflitto». «I governi europei vogliono far credere che la morte di centinaia di persone in mare e la sofferenza di migliaia di rifugiati e migranti intrappolati in Libia siano un prezzo accettabile per le politiche di controllo della migrazione - ha commentato Sam Turner, capo missione di Msf per le attività di ricerca e soccorso e la Libia - La cruda realtà è che mentre sbandierano la fine della cosiddetta crisi migratoria in Europa, fanno consapevolmente finta di non vedere la crisi umanitaria che queste politiche perpetuano in mare e in Libia. Queste morti e sofferenze sono evitabili e finché continueranno, non possiamo restare a guardare». La nuova nave impiegata per i soccorsi in mare è la Ocean Viking, gestita in partnership con Sos Mediterranee, che partirà per il Mediterraneo centrale a fine mese, rappresentando una delle poche navi umanitarie rimaste in quella porzione di mare, che resta la rotta migratoria più pericolosa al mondo. «Quest’anno - afferma Msf - almeno 426 uomini, donne e bambini hanno già perso la vita durante la traversata, 82 dei quali in un naufragio appena due settimane fa. Nei primi sei mesi del 2019, il rischio di annegare è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2018, solo considerando le morti note. Come se non bastasse, le navi commerciali si trovano in una posizione insostenibile, prese tra l’obbligo di soccorrere imbarcazioni in difficoltà e il rischio di rimanere bloccate in mare per settimane per la chiusura dei porti italiani e l’incapacità degli Stati europei di concordare un meccanismo per gli sbarchi». Una situazione determinata dal conflitto che da oltre tre mesi infuria in Libia nell’area di Tripoli e che ha costretto oltre 100mila persone a lasciare le proprie case. Molte di queste persone sono però finite in centri di detenzione arbitraria per rifugiati e migranti che, di fatto, rappresentano trappole mortali, luoghi di tortura e feroci violenze. «Totalmente esposte al conflitto, le persone rinchiuse nei centri senza possibilità di fuga temono per la loro vita dopo che diversi attacchi hanno causato circa 60 morti. Le evacuazioni umanitarie sono frammentarie e inadeguate, e il pericoloso viaggio nel Mediterraneo resta una delle uniche vie di fuga possibili - si legge sul sito dell'organizzazione - Nel frattempo, i governi europei violano gli obblighi legali e umanitari che loro stessi hanno firmato, offrendo sempre maggiore supporto alla Guardia costiera libica per riportare forzatamente in Libia persone vulnerabili – in alcuni casi proprio nei centri dove le persone vengono uccise a colpi d’arma da fuoco o dai bombardamenti, come testimoniato dai tragici eventi nel centro di Tajoura poco più di due settimane fa». Si torna in mare, dunque, per salvare vite, afferma Claudia Lodesani,presidente di Msf in Italia. «E non possiamo restare in silenzio mentre persone vulnerabili subiscono sofferenze evitabili. Se i leader europei condannano l’uccisione di migranti e rifugiati vulnerabili in Libia, devono anche garantire la ripresa di operazioni di ricerca e soccorso ufficiali, sbarchi in luoghi sicuri e l’immediata evacuazione e chiusura di tutti i centri di detenzione arbitraria - spiega - L’ipocrisia del crescente supporto fornito alle intercettazioni in mare e al ritorno forzato delle persone negli stessi luoghi dove vengono perpetrate le violenze, lascia intendere che quelle condanne sono solo parole vuote di finta compassione».