«Il problema non è Di Maio», ma alcuni ministri del Movimento 5 Stelle. Archiviati, almeno per oggi, i venti di crisi, Matteo Salvini mette sul piatto le sue condizioni per continuare l’esperienza di governo: la “testa” di Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta, i ministri più indigesti alla Lega. Anche se nessuno pronuncia la parola “rimpasto”, trincerandosi dietro la formula «non ci interessano le poltrone», lo scricchiolio di sedie traballanti oltrepassa i possenti muri di Palazzo Chigi. Perché la pace armata tra i leader dei due partiti di governo, siglata dopo una giornata infuocata di insulti e provocazioni, passa attraverso un riequilibrio delle deleghe che rispecchi il mutamento dei rapporti di forza certificato dalle Europee. E oltre a Infrastrutture e Difesa, il Carroccio potrebbe pretendere anche un altro dicastero ritenuto d’intralcio alle politiche di crescita: l’Ambiente, attualmente guidato dal comandante dei Carabinieri forestali Sergio Costa.

Luigi Di Maio, che improvvisamente esclude una «crisi», convinto di poter trovare «come sempre un punto per continuare» l’alleanza con Salvini, sa che dovrà immolare qualcuno dei suoi sull’altare della nuova alleanza. «C’è un evidente e totale blocco sulle proposte, iniziative, opere, infrastrutture da parte alcuni ministri 5 stelle che fa male all’Italia», dice il capo della Lega, prima di circoscrivere il “problema”. «Ieri Toninelli (con centinaia di cantieri fermi) che blocca la Gronda di Genova, che toglierebbe migliaia di auto e di tir dalle strade genovesi; oggi il ministro Trenta che propone di mettere in mare altre navi della Marina, rischiando di attrarre nuove partenze e affari per gli scafisti», argomenta, presentando di fatto il conto a Di Maio. Ora tocca al capo politico decidere chi sacrificare.

La poltrona di Danilo Toninelli sembra la più traballante. Da tempo il ministro per le Infrastrutture appare isolato nel Movimento e commissariato dal collega Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari Regionali, fedelissimo di Di Maio. Per i grillini, e per la Lega, Toninelli non è all’altezza dei delicatissimi dossier che si accumulano sul suo tavolo, a cominciare da Autostrade. La sua vulnerabilità potrebbe spingere il capo M5S ad accettarne la sostituzione. Ma rimuovere Toninelli significa rimuovere le battaglie più connotanti del mondo pentastellato, come il No alla Tav, e dichiarare resa a Salvini. Non solo, rinnegare l’attuale ministro delle Infrastrutture, un tempo vicinissimo a Di Maio e “ingegnere” dei sistemi elettorali targati 5Stelle (indimenticabile il Toninellum), sarebbe come rinnegare il capo politico che lo ha voluto in squadra dopo la vittoria del 2018.

Ma se Toninelli rimane comunque a un passo dal trasloco, più complicata appare la rimozione della ministra Trenta, da mesi bersaglio privilegiato di Salvini per la differenza di vedute sulla questione migranti, a cominciare dall’ipotesi blocco navale, da Trenta liquidata come un impraticabile «atto di guerra». Di Maio dovrà convincere l’alleato a cambiare obiettivo, perché non avrebbe argomenti per far digerire ai suoi una capitolazione sulla Difesa.

Come complesso sarebbe chiedere un passo indietro a Sergio Costa, integerrimo ministro ecologista dell’Ambiente, apprezzato da gran parte della base pentastellata. A togliere le castagne dal fuoco al capo politico ci pensa per ora Giuseppe Conte, che ridimensiona aspirazioni leghiste. Di rimpasti non se ne parla, «quello che va assolutamente fatto è completare la squadra dei sottosegretari», dice il premier. Almeno fino a quando non si ricomincerà a minacciare la crisi.