Claudio Foti non avrebbe manipolato nessuna minore, convincendola di aver subito abusi che, in realtà, non ci sarebbero stati. Una convinzione che il giudice del Riesame ha maturato guardando i nastri di 15 sedute di psicoterapia, che dimostrerebbero l’inconsistenza di teorie sul lavaggio del cervello. Un dato che emerge dalla decisione di annullare gli arresti domiciliari dello psicoterapeuta 68enne, direttore scientifico della onlus “Hansel e Gretel”, da giovedì di nuovo libero, anche se con obbligo di dimora a Pinerolo, dove risiede. E che oggi fa dire all’avvocato Girolamo Andrea Coffari che dietro l’indagine “Angeli e Demoni” ci sono «errori grossolani» e polveroni.

[embed]https://www.facebook.com/claudio.foti.583/videos/1506211696199102/[/embed]

L’inchiesta, 23 giorni fa, aveva fatto scalpore, come un film horror fatto di plagi, con ore e ore di psicoterapia e suggestioni indotte attraverso impulsi elettrici, per sottrarre bambini a famiglie innocenti col solo scopo di guadagnare col sistema degli affidi. Un’indagine che riguarda 27 persone e conta 101 capi d’accusa, due soli dei quali contestati a Foti. Ma nonostante la sua posizione sia marginale, forse per la sua fama o forse per via di quei vecchi casi raccontati dall’inchiesta giornalistica di Pablo Trincia, dal titolo “Veleno” ( «una mera tesi giornalistica contestata anche dall’Anm», dice Coffari),- Foti è diventato il centro di tutto. E vittima predesignata dell’ennesimo processo mediatico, sfogatoio di una rabbia sociale cieca e superficiale.

LE ACCUSE

Sono due le contestazioni mosse a Foti. La più grave è quella di frode processuale, per aver «alterato lo stato psicologico ed emotivo di una minore». Una ragazza usata come «cavia» nell’ambito di un corso di formazione, con una psicoterapia dalle modalità «suggestive e suggerenti», che l’avrebbero convinta di aver subito abusi da parte del padre. E poi un concorso in abuso d’ufficio, perché il servizio di psicoterapia dell’Unione Comune della Val d’Enza, è finito in mano, in via esclusiva, alla sua coop senza alcun bando pubblico. Ma per il giudice del Riesame, sull’accusa più infamante non sussistono i gravi indizi di colpevolezza, mentre rimane solo l’abuso d’ufficio. Che, dice Coffari, «è una sciocchezza».

IL «MOSTRO»

Nel caso di Bibbiano, dice l’avvocato al Dubbio, Foti ha una posizione marginale, fin dall’inizio. Lo è nel caso dell’abuso d’ufficio, dove si contesta ad un privato cittadino di non aver controllato «se l’amministrazione pubblica abbia osservato le regole amministrative». E quindi va subito a quell’accusa che vorrebbe Foti come un demiurgo di ricordi ossessionato dalle violenze sessuali come ragione di ogni disagio. A sostegno della tesi «due pagine di sommarie informazioni rilasciate dalla ragazza, che non dicono granché - afferma Coffari - e, soprattutto, un’intercettazione ambientale del 2018». Si tratta del corso di formazione e di frasi estrapolate da una seduta, nella quale Foti parte dal presupposto della violenza subita e da lì fa delle domande alla giovane. Come se volesse indottrinarla, per l’accusa. Ma quella non era la prima seduta per i due, bensì la ventesima, ognuna documentata da una registrazione. Precedenti che «non si possono ignorare - dice il legale - Noi abbiamo avuto la fortuna di trovare le videoregistrazioni delle prime 15 sedute, nelle quali si vede la giovane parlare spontaneamente di queste ipotesi di violenza». Foti si sarebbe così limitato a ripetere le stesse parole usate in precedenza dalla ragazza, nel tentativo, sostiene la difesa, di approfondire i suoi ricordi e ricollegarli ad un malessere grave da lei stessa lamentato.

LA «CAVIA»

Per i pm la sua presenza al centro di una sala, con altri psicoterapeuti ad ascoltarla nascosti da un vetro, sarebbe stata una sorta di esperimento da laboratorio e lei un oggetto da vivisezionare. Il contesto è un corso di formazione per psicoterapeuti bandito dall’Asl, con lo scopo di formare una equipe di esperti in traumi, attraverso «il trattamento di un caso specifico». Una «prassi in tutta la psicologia clinica sistemico- relazionale dell’occidente», dice Coffari, che è anche presidente del “Movimento infanzia”.

IL PROCESSO MEDIATICO

Foti diventa il modello ideale di un orrore da buttare subito sul palcoscenico, senza garanzie, senza contraddittorio. Le carte lo descrivono come un uomo dalla personalità «brutale, violenta e impositiva», arrivando ad ipotizzare maltrattamenti sulla moglie, la ex compagna e i figli. «Questo sulla base di una telefonata in cui litiga con la moglie, anche lei psicologa che tratta maltrattamenti e abusi all’infanzia da una vita». Insomma, anziché urlarsi parolacce, i due si danno dei “maltrattanti”. «E questo basta». Perché a carico di Foti non c’è alcuna denuncia per maltrattamenti. E allora com’è diventato il mostro di Bibbiano? «Fa comodo, in un periodo in cui si cercano ghigliottine, teste da ghigliottinare», dice Coffari. Perché c’è «un clima da un prefascismo, un senso di rabbia che si deve sfogare istintivamente su dei capri espiatori».

«CONFUSIONE ED ERRORI»

L’indagine, conclude Coffari, magari non è tutta da buttare e, forse, è riuscita a svelare qualche orrore. Ma gli errori, afferma, non si possono ignorare. Come quando si parla di elettroshock, «mentre si ha a che fare con un macchinario acquistabile su Amazon, usato normalmente dagli psicologi». O dell’Emdr, approccio psicoterapico riconosciuto dall’organizzazione mondiale della sanità, «trattato come una specie di sabba delle streghe». Insomma, «la mia impressione è che sia stato fatto più di un errore. E con Foti ho avuto ragione».