«Grazie a Zingaretti, il Pd ha cambiato passo». Ne è sicuro Roberto Morassut, deputato e membro della segreteria del partito, che però puntualizza: «Per competere con la Lega non possiamo rinunciare alla vocazione maggioritaria» .

Nell’assemblea di sabato, Zingaretti ha ribadito che bisogna ricostruire il Pd. Qualcuno ha detto che lo Statuto va stracciato. Lei cosa pensa?

Io penso che non dobbiamo arretrare rispetto ad alcune scelte di fondo, ma andare avanti e coniugarle con i grandi mutamenti epocali intervenuti dal 2007. Il tessuto associativo del Pd va rifondato e questo non avverrà senza una discontinuità sostanziale, quindi anche formale ed estetica. Penso che occorra una relazione con la società molto permeabile, un partito- movimento che abbia anche una diversa denominazione: Democratici.

Quindi lo Statuto va cambiato?

Siamo rimasti ancorati a una forma politica che non è più in grado di raccogliere nulla. Serve un movimento orizzontale e aperto: è la Costituente dei Democratici di cui parlo da tre anni, che superi la denominazione di “Partito” e sviluppi l’orizzonte “democratico”. Se invece dobbiamo fare una riforma statutaria per tornare ad un modello di partito che moltiplica le cariche e le sottrae alla partecipazione popolare, questa non e la strada giusta. Dire “facciamo i Democratici” e poi proporre di tornare ad elezioni dei gruppi dirigenti per linee interne è una contraddizione.

Il dualismo è sul segretario- premier o sulla separazione delle due cariche.

Io sono perché il leader resti il candidato naturale per guidare il governo e che sia eletto con le primarie, il che non esclude anche altri possibili candidati alle primarie di coalizione. Non dobbiamo togliere alla nostra gente un potere, ma darle ulteriori spazi espressivi: sulla politica, sulle scelte, sulla composizione della classe dirigente. Penso, peraltro, che vada superata la stessa espressione “segretario”, introdotta nel vocabolario della storia dei partiti con l’avvento di Stalin e che indica una figura “interna” posta all’apice di una burocrazia, depositaria di “segreti”, di funzioni separate e riservate rispetto alla rete associativa.

E quindi lei come lo chiamerebbe?

Basterebbe indicare il leader col termine di “portavoce” o di “presidente”.

Rimane la vocazione maggioritaria.

Il movimento democratico deve rimanere a vocazione maggioritaria. La Lega è di fatto una forza maggioritaria e sarebbe assurdo per noi ritornare a ragionare con ottica proporzionale, anche perchè non è possibile una coalizione larga se non si parte dalla centralità del soggetto principale. Possono invece avanzare nuovi soggetti politici nostri alleati solo se i Democratici si rafforzano, restando propulsori di consenso e di energie positive.

Perchè prende ad esempio la Lega?

Perchè la Lega, che è il nostro principale avversario, è ormai una forza maggioritaria, che ha costruito questa egemonia nonostante regole elettorali proporzionali, a conferma che c’è sempre un primato della politica. Oggi, il blocco sovranista- populista sfonda su tre cose: pensioni, tasse e forma dello Stato. Mentre noi discutiamo ancora di questioni incomprensibili come le alleanze tra “liberali e socialisti”, se dividerci per poi fare una coalizione, se separare la figura del segretario da quella del premier.

E questa Lega come si sconfigge?

Con Zingaretti abbiamo iniziato un nuovo percorso: una grande consultazione su idee e programmi, per scrivere un patto con l’Italia che vuole ripartire. Non è un lavoro facile, ma ammiro Nicola per la enorme pazienza che sta dimostrando, lavorando in modo concreto e radicalmente avverso al tono isterico che i tempi di oggi vogliono imporre al lavoro della politica.

Zingaretti è l’uomo giusto al momento giusto?

E’ un fatto che abbia riacceso i motori spenti del Pd ed il partito ha ripreso a camminare in avanti, come si vede anche dai sondaggi.

Eppure il blocco sovranista continua ad avere il vento in poppa. La destra cresce, è vero. Ma ogni giorno che passa si svela il suo volto cupo, fatto di divisione e di odio e, alla lunga, di insicurezza. Salvini parla di esclusione, indossa divise militari, imbraccia armi, tratta danaro con oligarchi stranieri, insulta e non risolve mai un problema. Non credo che i giovani di oggi vogliano coltivare il provincialismo ed essere costretti in una divisa mentale, oltre che fisica.

Eppure Salvini sembra ormai irraggiungibile nel consenso personale. Tanto da dire di no al Parlamento nella richiesta di riferire sul caso Moscopoli.

Deve rispondere perché egli è il Ministro degli Interni e qui si parla della sicurezza nazionale. E deve farlo perché c’è un problema che spetta al Parlamento valutare: se vi è stata una condotta in contrasto con la collocazione internazionale dell’Italia e con la sua appartenenza all’Unione Europea. Sono questioni che riguardano pienamente le funzioni del Parlamento. Se questo chiarimento non avvenisse sarebbe un fatto gravissimo.

Ma perchè i cittadini lo votano, nonostante condotte poco politicamente corrette?

Molta gente lo segue perché non vede in noi, ancora, un qualcosa di affidabile, soprattutto per la nostra vocazione a dividerci e a coltivare rancori. Contro questa destra cupa, noi dobbiamo occupare lo spazio della speranza. Solidarietà chiama solidarietà, altrimenti è difficile essere credibili. Solo così si ribalta lo schema del populismo che accoglie, senza elaborarli, i sentimenti di pancia. Ci dobbiamo sempre ricordare che siamo la sinistra.

La parola “sinistra” è ancora attuale?

Sì, perchè nasce per strappare dall’ignoranza e dalla subalternità alla reazione e al pregiudizio le fasce di popolazione meno consapevole, che è sempre stata una riserva della reazione, una massa d’urto contro la sinistra portatrice di un messaggio di liberazione ed emancipazione delle persone e delle classi. In questo dobbiamo tornare alle origini: occorre un po’ di ideologia.

Con quale priorità?

Ambiente, lavoro e crescita. La crescita dipende da una ripresa delle opere pubbliche, delle infrastrutture, dal rafforzamento dello scheletro della nazione, soprattutto nel Mezzogiorno.

A questo proposito, la concessione ad Autostrade va revocata?

Il tema vero non è nazionalizzare le autostrade, ma costruire un sistema di vigilanza e controlli più forte dello Stato, che eviti squilibri a favore dei privati, tuteli la sicurezza degli utenti, i posti di lavoro e gli investimenti.