Lucano in aula. In Prefettura lo chiamavano “San Lucano”, perché ogni volta che c’era un’emergenza, uno sbarco improvviso e persone da collocare, il numero da chiamare era sempre quello del sindaco di Riace.

Ma quella stessa Prefettura lo ha poi fatto cadere, trascinandolo passo dopo passo in tribunale e levando alla città dei bronzi i suoi progetti d’accoglienza, quelli che avevano reso famoso il borgo in tutto il mondo.

Le dichiarazioni di Mimmo Lucano

A dirlo ieri in aula è stato proprio l’ex primo cittadino Domenico Lucano, che per oltre un’ora ha raccontato la sua versione dei fatti, guardando in faccia il collegio giudicante del tribunale di Locri.

«Se quello di cui mi si accusa è di aver dato casa a disperati e agli ultimi del mondo, io lo rifarei», ha chiarito. Lucano è processo insieme ad altre 25 persone, accusate a vario titolo di aver trasformato i progetti di accoglienza nel covo di un’associazione a delinquere che avrebbe distratto milioni di euro.

Senza attendere il suo esame, Lucano ha convinto i giudici a farlo parlare. Ed è partito come sempre dall’inizio, dal 1998, quando quel veliero carico di curdi sospinto dal vento è approdato sulla spiaggia di Riace, dando il via all’accoglienza spontanea che, col tempo, si è trasformata in un modello.

E alla base di quella «utopia della normalità», quella della convivenza pacifica tra popoli, c’è solo «un ideale politico», ha spiegato, e nessuna «premeditazione».

Un ideale che lo ha spinto a recuperare le case abbandonate del borgo, ripopolandolo, riuscendo a dare una mano ai migranti arrivati in Calabria in cerca d’aiuto. Tutto solo e soltanto «per una questione di umanità».

Un'esperienza unica nel mondo

Una scelta naturale che, col tempo, è diventata oggetto di studio da parte della comunità internazionale, che ha iniziato a trattarlo come un eroe, un modello e a celebrarlo come tale.

E di quella gloria, di quel modello di normalità che ha sfruttato l’umanità e non l’odio per gestire i flussi migratori, per anni, la Prefettura ha goduto in maniera riflessa.

«Quando c’erano gli sbarchi, proprio perché a Riace c’erano un sistema organizzato e case a disposizione, erano loro a chiamarmi per chiedermi di accogliere - ha spiegato - Io dicevo di sì, perché si trattava di gente che aveva bisogno. E Riace diventava più bella».

Ed era in quel periodo che nelle stanze della Prefettura lo chiamavano “San Lucano”. «E ora - si è chiesto amaramente - vengo accusato proprio per ciò che mi hanno chiesto di fare Prefettura e dal ministero dell’Interno?».

Dietro l’esperienza di Riace, dove sono passate persone con addosso i segni delle torture, ha aggiunto, non c’è mai stato alcun interesse economico, ma solo umanitario.

Nessuna associazione a delinquere, dunque, ma solo il tentativo «di utilizzare al meglio delle risorse». E sulla presunta concussione ai danni di un commerciante locale non ha avuto dubbi: «prima del mio arresto non sapevo neppure cosa significasse questo termine. Poi ho capito di averla subita».

Le dichiarazioni di Lucano arrivanoil giorno dopo l’annuncio ufficiale del l’ad Rai Fabrizio Salini circa la fiction girata sulla storia di Riace, dal titolo “Tutto il mondo è paese”.

Un film che, ha chiarito, non è in palinsesto. «Una scelta politica, perché quel messaggio fa paura», ha commentato Lucano. Mentre per il protagonista del film, Beppe Fiorello, che ha confermato la sua vicinanza e il suo supporto a Lucano, «c’è una speranza per il futuro prossimo: sono convinto che vedremo la storia di Riace».