La nuova politica. Da quando Matteo Salvini ha cominciato a diffondere baci - lui li chiama “bacioni”- ai suoi critici e avversari anche nelle aule parlamentari, come sulle piazze e piazzuole fisiche ed elettroniche, mi sono tornati alla mente i giorni, anzi gli anni, di Ilona Staller a Montecitorio. Dove Marco Pannella - e chi sennò?- si divertì nel 1987 a portare la pornodiva di origini ungheresi facendola eleggere nelle liste del Partito Radicale con tanti voti da rischiare di esserne addirittura superato: 22 mila preferenze nella circoscrizione laziale.

Già nota in arte - diciamo così come “Cicciolina”, la deputata cercò di prendersi a suo modo seriamente. Partecipava alle sedute in aula, e qualche vola anche a quelle delle commissioni Difesa e Trasporti cui era stata assegnata, senza mai tradire il suo stile. A chi l’interrompeva, dissentendo a volte anche in modo volgare, o solo le rivolgeva sguardi ironici e scettici, come capitò a volte di fare a Giulio Andreotti dai banchi del governo, l’ancor più ironica e per niente imbarazzata onorevole lanciava bacini. E per coinvolgerli di più nel suo stile e modo di dire chiamava “Cicciolini” i suoi interlocutori.

A sentirselo dare, del Cicciolino, quel pomeriggio in cui mi gustai lo spettacolo da una delle tribune riservate alla stampa e affacciate sull’aula di Montecitorio, Andreotti si trattenne a stento da una reazione che non seppi distinguere se più indignata o divertita. Egli si limitò a chiamare un commesso per chiedergli di portargli da bere qualcosa. Il poveretto gli portò un bicchiere d’acqua, su tanto di vassoietto, ma ad Andreotti non bastò. Gliene portò poi una bottiglia.

Ora la Staller se la passa davvero male, specie dopo che le hanno ridotto da 2000 a 800 euro mensili il cosiddetto vitalizio parlamentare. Ma come deputata e contributrice delle trattenute previdenziali si guadagnò il diritto riconosciutogli dalle regole in vigore perché la sua prima e unica legislatura - ultima peraltro della cosiddetta prima Repubblica- fu tra le poche a non interrompersi prematuramente, arrivando alla scadenza ordinaria del 1992 per volontà soprattutto di Bettino Craxi. Che non lo fece di certo, impedendo lo scioglimento anticipato delle Camere che l’allora capo dello Stato Francesco Cossiga gli avrebbe concesso nel 1991 se richiestone, per fare un piacere a Cicciolina, ormai uscita anche fuori dalle grazie di Pannella.

Craxi salvò quella legislatura, condannandosi peraltro al logoramento del referendum contro le preferenze, alla crescita del fenomeno leghista e all’accensione della miccia sotto la bomba di “Tangentopoli”, per un riguardo politico e umano - pensate un po’- ai comunisti. Lo ha appena ricordato l’ex ministro so- cialista Rino Formica aprendo sul Corriere della Sera una serie di interviste di Walter Veltroni su “misteri e fine della prima Repubblica”.

I comunisti di Enrico Berlinguer, e successori, al leader socialista gliene avevano dette e fatte di tutti i colori, prendendo come una provocazione nei loro riguardi il suo arrivo a Palazzo Chigi nel 1983, pur concordato con un segretario democristiano non certamente sospettabile di anticomunismo viscerale come Ciriaco De Mita. Ma a Craxi, prima ancora dell’incontro che fece rumore in un camper con Massimo D’Alema, mandatogli dall’allora segretario comunista Achille Occhetto, sembrò scorretto profittare delle elezioni anticipate per aggravare le difficoltà in cui il Pci già si trovava per la caduta del muro di Berlino, nel 1989, e il cambiamento di nome e di simbolo che si era imposto, chiamandosi Pds e confinando la falce e martello sotto una quercia. In più, a quel Pds Craxi, anche se Formica ha omesso di ricordarlo a Veltroni, avrebbe persino fatto aprire, rinunciando al veto che gli spettava per statuto, le porte dell’Internazionale Socialista, utilissime in quel momento alla sinistra che si definiva post- comunista.

Ma torniamo a Salvini, ai suoi bacioni e al richiamo a Cicciolina. Mi chiedo sinceramente se convengano a un ministro dell’Interno, prima ancora che ad un leader politico, quei bacioni così frequentemente e abbondantemente rivolti col proposito per niente nascosto di liquidare sbrigativamente con l’arma dell’ironia critici ed avversari, anche quando il titolare del Viminale ha argomenti più seri e convincenti da opporre. E ne ha: non dico sempre, per carità, come lui stesso dovrebbe ammettere se ha una percezione umana di se stesso, non ritenendosi ormai infallibile neppure il Papa, ma ogni tanto sì, ne ha. E avrebbe il dovere di esporre meglio le sue ragioni, e magari anche lasciando un po’ di spazio e di voce chi lavora con e per lui, e forse non è tanto stanco da lasciarsi scappare qualcosa di troppo o di controproducente, specie sul terreno dei rapporti istituzionali.

E’ quanto è capitato in questi giorni al ministro dell’Interno, fra un attracco e l’altro a Lampedusa di navi con migranti sottrattesi ai suoi ordini, dolendosi del fatto di non comandare le Forze Armate, almeno quelle di mare. Beh, le lasci tranquillamente al comando del presidente della Repubblica, come dispone d’altronde l’articolo 87 della Costituzione.