Amnesty;«In questo paese si muore di Facebook, e la politica ha una responsabilità ciclopica».

Amnesty e Cnf contro l'hate speech

E’ il monito con cui il direttore di Amnesty International Italia, Gianni Ruffini, ha aperto ieri il convegno “Discorso d’odio e propaganda elettorale”, dedicato all’hate speech in rete.

L’evento, organizzato da Amnesty Italia e dal Consiglio Nazionale Forense ( Cnf), si è tenuto presso sede del Cnf in concomitanza con l’insediamento a Strasburgo del nuovo Parlamento europeo.

Il dibattito ha preso le mosse proprio dai dati pubblicati nel rapporto “Barometro dell’odio”, frutto di un lavoro di monitoraggio e analisi delle campagne elettorali social dei candidati alle ultime elezioni europee.

Un percorso avviato

L’incontro ha ripreso il percorso di riflessione che era stato avviato nel 2018 con il protocollo di Intesa tra Amnesty e Cnf e volto a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’odio attraverso il lavoro congiunto di attivisti, ricercatori universitari ed esperti di diritto.

Ancora prima, il Consiglio Nazionale Forense aveva dedicato il G7 delle Avvocature, organizzato sotto gli auspici della Presidenza Italiana del G7, proprio al tema della sicurezza e della violenza verbale.

«Il linguaggio d'odio, sempre più diffuso nei social network, genera paura e violenza verbale. È compito dell'avvocatura contrastare tale fenomeno e contribuire ad un dialogo pacifico a tutela dei diritti della persona», ha esordito Francesco Caia, consigliere del Consiglio nazionale forense e coordinatore della Commissione Diritti Umani.

E nel salutare la platea del convegno, Caia ha ribadito l’assoluta urgenza di un costante lavoro di formazione ed educazione, condiviso a livello nazionale e internazionale.

Gli strumenti

Nel corso dei lavori sono stati presentati in maniera dettagliata metodologie e strumenti messi in campo da Amnesty per capire, gestire e contenere il propagarsi di un linguaggio offensivo e discriminatorio sui principali canali social, Facebook e Twitter, centrando lo studio sul dibattito politico italiano nel clima di costante propaganda che ha caratterizzato gli appuntamenti elettorali degli ultimi due anni.

Dal 2017, infatti, Amnesty ha creato una Task Force di 180 attivisti e un Tavolo di esperti che, grazie ai primi risultati raccolti in occasione delle elezioni politiche del 2018, ha sviluppato un sofisticato algoritmo che permette di classificare i commenti dei politici e le interazioni dei loro “follower”, con il fine di valutare l’impatto che una campagna politica particolarmente aggressiva può avere sulla società in termini di indirizzo al voto, costume e clima culturale.

L'onda d'odio

«I risultati dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, che moltissimi candidati legittimano, stimolano e danno spazio a violente espressioni di odio», ha spiegato Gianni Ruffini.

«Non solo il linguaggio, ma le idee: xenofobia, razzismo, misoginia, discriminazione e negazione dei diritti», ha ribadito Ruffini prendendo le mosse dai recenti fatti di cronaca che hanno riguardato la Sea Watch e la comandante Carola Rackete.

Dal rapporto 2019 è emerso infatti che i tre temi principali su cui i politici si esprimono in maniera problematica sono immigrazione, minoranze religiose e rom.

Tra le categorie maggiormente prese di mire anche le donne, che continuano ad essere oggetto di rappresentazioni stereotipate e violenza verbale.

Cos'è l'hate speech

Nonostante non ci sia una definizione giuridica condivisa di “hatespeech”, in parte perché il concetto stesso si muove tra la tutela della libertà di espressione e la giurisprudenza posta a tutela del linguaggio discriminatorio, la maggior parte degli esperti è incline a considerare l’evoluzione del discorso come violenta, tesa alla semplificazione e alla disinformazione, anche laddove la comunicazione politica non sconfina in espressioni d’odio esplicito, perseguibili legalmente.

Lo stesso commissario dell’Agcom, Antonio Nicita, intervenuto al convegno a proposito di disinformazione e fake news, ha sottolineato il fragile equilibrio tra il free speech, come rivendicazione di una comunicazione libera dal politically correct, e il vero e proprio linguaggio d’odio.

La differenza sostanziale tra libertà di espressione e propaganda passa per il soggetto del discorso, che sia o meno riconosciuto e tutelato da una comunità e dalla normativa del paese in cui si trova.

Tutela dei più deboli

E il tema della responsabilità e della tutela dei soggetti più deboli è stato ripreso anche dal presidente del Cnf, Andrea Mascherin, che ha posto in chiusura del convegno un importante interrogativo su quanto la politica sia realmente il traino e non semplicemente l’interprete di una certa cultura comunicativa.

«La società si è sviluppata sul confronto di idee, attraverso lo strumento laico della dialettica, privilegiato dalle democrazie. La politica sta forse interpretando un certo modo di comunicare, un’idea di convivenza basata non su principi solidali, ma sulla risoluzione aggressiva dei conflitti.

E’ fondamentale invece per l’avvocatura affermare il valore della dialettica - ha concluso Mascherin - ma restituendo alle generazioni future l’importanza della mediazione”.