Dalla tav alla flat tax. Come prima, peggio di prima. Dopo qualche giorno di tregua apparente, Lega e M5s sono tornati al centro del ring a suonarsele di santa ragione.

Dall’Ilva all’autonomia del Nord, dalle concessioni autostradali al salario minimo e alla Torino- Lione, i carriarmatini del Risiko gialloverde sono tornati fuori dalla scatola, per citare Di Maio.

Con il risultato che la guerra di nervi si riflette su uno stallo totale dei provvedimenti al centro della guerriglia di governo.

Decreto crescita

Il decreto crescita è legge: è stato approvato ieri anche al Senato. Ma sul futuro dell’Ilva incombono nuvoloni nerissimi.

Arcelor Mittal ha minacciato di chiudere lo stabilimento il 6 settembre, qualora il provvedimento avesse confermato lo stop all’immunità per i vertici dell’azienda.

Ma il M5s non ha voluto sapere ragioni: nessun passo indietro sulla responsabilità penale per eventuali reati ambientali relativi alla bonifica e al rilancio dell’acciaieria di Taranto.

«Io l’avrei lasciata, non possiamo perdere 15mila posti di lavoro», ha minacciato Salvini.

«Io non accetto ricatti. Qui la legge è uguale per tutti. Ilva resti aperta, non hanno nulla da temere, le soluzioni si trovano», ha tirato dritto Di Maio.

Approvato il decreto, l’unica possibilità di salvare Ilva è appesa all’ordine del giorno presentato dalla Lega, che impegna il governo a «verificare la coerenza» della nuova norma con gli accordi firmati con la nuova proprietà indiana.

Frattanto Di Maio incontrerà i vertici dell’azienda il 4 luglio: strada in salita, posti a rischio.

Muro contro muro sulle autonomie e Tav

L’intesa doveva essere sancita martedì notte. E invece dopo tre ore di serrate trattative, l’accelerazione della Lega si è infranta contro la muraglia stellata.

«Lavori in corso, dobbiamo superare le resistenze dei burocrati», ha minimizzato Salvini dopo essere fuggito via a metà riunione visibilmente irritato.

«Mercoledì si chiude», ha garantito il premier Conte. Ma l’accordo sul regionalismo sembra ben lontano, complice il dossier presentato dall’ufficio legislativo di palazzo Chigi. Che ha smontato pezzo per gara per il versante italiano dell’opera.

A esacerbare lo scontro, la generosa offerta dell’Unione europea che ha deciso di mettere più fondi per realizzare la tratta.

Per l’Italia un mega sconto da 1,6 miliardi, che manda gambe all’aria l’analisi costi benefici del ministro Toninelli e mette nell’angolo il premier Conte.

Messo alle strette, il Movimento ha fatto filtrare l’idea di una mini Tav leggera dal costo limitato, ma la Lega ha fatto spallucce.

Ma allora che si fa? Per il Mit i bandi sono revocabili, ma nella sostanza i lavori sono partiti. Per realizzare che cosa? «Se ne occuperà Conte», ha detto Di Maio.

Salario minimo

Lotta nel fango anche per il salario minimo. Il Movimento vorrebbe portarlo a 9 euro lordi per tutti, con una spesa che Confimprese valuta in 6,7 miliardi all'anno in più a carico dei datori di lavoro.

Contrari anche i sindacati. La controfferta della Lega prevede però di limitare l’applicazione di minimi orari di 9 euro lordi l’ora «solo ai settori e alle categorie non regolamentate dalla contrattazione collettiva.

Che nei 9 euro siano inclusi gli elementi fissi e variabili della retribuzione e chi si consentano deroghe grazie al rafforzamento delle contrattazione territoriale e comunque alle parti sociali maggiormente rappresentative.

Risultato dello scontro? Testo impantanato in commissione, e rinvio di un mese. Approdo in aula previsto per il 23 luglio, salvo ( ulteriori) complicazioni.

Autostrade

Botte da orbi anche sulle concessioni autostradali, dove Lega e M5s continuano a collezionare fragorosi frontali.

L’ultimo nel vertice di martedì sera. A un anno dal crollo del ponte Morandi, il Movimento si è ricordato della vecchia promessa di revocare le concessioni ad Autostrade per l’Italia, che pure sono coinvolte nella delicata partita di Alitalia tramite il gruppo Atlantia.

Costo dell’operazione vendetta, 25 miliardi. Così che la Lega l’ha presa malissimo: «Follia. Potrebbe finire che il M5s si accontenterà di un daspo parziale.

Autostrade fuori, ma soltanto da Genova. Della revoca però, Salvini non vuole saperne. Né in Liguria né altrove.

Flat tax

Nel romanzo social a tinte gialloverdi, occupa il frontespizio la tassa piatta.

Dapprima Salvini aveva annunciato di volerla fare. «A patto che non favorisca i ricchi», era stato il muro del M5s.

Poi la Lega ha detto di volerla fare in deficit. «Irresponsabile», aveva detto il M5s. Che dopo le Europee ha cambiato idea: «Facciamola in deficit».

Salvo poi ripensarci ancora una volta. «La Lega presenti le coperture», ha detto Di Maio.

I 15 miliardi ci sono già, ha proseguito il Carroccio. Che vuole anticipare la flat tax all’estate, prima della manovra.

Solo uno stress test per mandare anzitempo a casa il governo? Lo sapremo presto, tra una sberla e l’altra.