La disobbedienza civile è nobile, ma evanescente. Il ruolo da Cattivissimo Me è popolare, ma inconcludente. Il dramma dell’immigrazione dall’Africa è un evento di proporzioni gigantesche; gli studi ci dicono che entro il 2050 quasi 150 milioni di persone - gli ultimi della Terra - fuggiranno dalla desertificazione dovuta a ragioni climatiche per raggiungere lidi più vivibili. Immaginare di trasportarli in un infinito traghettamento su una pletora di Sea- Watch, è inverosimile. Pensare di arginare la disperazione chiudendo porti e attracchi di un Paese che ha 7500 chilometri di coste, è velleitario. Le provocazioni, dovunque si annidino e comunque si manifestino, non hanno mai risolto i problemi: piuttosto li esarcebano, rendendoli insolubili.

Ma c’è di più. Il pugno di ferro sugli sbarchi stringe cristalli di crudeltà che si trasformano in mucchietti di cenere quando bisogna affrontare temi di governo. Un atteggiamento che non concerne solo il titolare del Viminale ma accomuna anche premier e ministri pentastellati, il cui silenzio sugli sbarchi è sapido di correità d’intesa mentre si gonfia l’irresolutezza sulle decisioni. Tanta energia e volitiva determinazione dispiegata contro alcune decine di reietti si dilegua come fumo nello sfiatatoio quando si tratta di occuparsi dei dossier più delicati e complicati: dalla Tav alle Autonomie, dalla flat tax alle misure per evitare la procedura di infrazione Ue. I vertici si susseguono, i Consigli dei ministri si affastellano. Le decisioni, invece, languono e ad ogni convocazione di leader, ad ogni “settimana decisiva”, succede che il Generale Rinvio guadagni truppe e onorificenze.

Forse se - per restare in ambito marinaio - si invertisse la rotta o almeno si riequilibrasse lo sfoggio di energie, il vascello governativo ne guadagnerebbe. Anche perché alla luce delle scadenze interne - come la legge di Stabilità - e internazionali - come il verdetto di Bruxelles sui conti italiani - il tempo delle esitazioni sta per finire. La leader FdI Giorgia Meloni ha proposto di affondare la nave Ong: una provocazione, speriamo. Invece se non si sciolgono i nodi dell’azione di governo il rischio è che ad affondare sia l’Italia.