Ma è vero che la crisi «ci riporterebbe ai tecnici, a Monti e alla Fornero» come giura Di Maio? Il parere non è certo disinteressato.

Nessuno oggi teme il voto anticipato più del leader politico dei 5S e lo spauracchio dei tecnici non teme rivali, né tra i 5S né tra i leghisti, nello sconsigliare una crisi. L'opzione tuttavia esiste davvero, anche se tutt'altro che certa checché ne racconti Di Maio.

Gli scenari cambiano sensibilmente a seconda delle decisioni europee. Se la procedura d'infrazione fosse scongiurata la crisi diventerebbe sideralmente distante. La tenuta del governo almeno sino ai primi mesi del prossimo anno sarebbe assicurata ( salvo incidenti sulla Tav, sempre possibili ma non probabili) e a quel punto l'intero quadro sarebbe diverso e le previsioni di oggi si dimostrerebbero comunque inconsistenti.

Se il Consiglio si pronuncerà per la procedura il 9 luglio, difficilmente l'esito sarà diverso da una corsa alle urne in settembre. Lo stesso Mattarella considererebbe le elezioni uno sbocco quasi obbligato se non si palesasse subito una maggioranza alternativa. In quel caso però Zingaretti, che vede nell'ennesimo governo tecnico una trappola mortale nella quale il suo Pd perderebbe la credibilità residua, punterebbe i piedi per il voto e la pressione congiunta della Lega e del Pd sarebbe irresistibile.

Le cose starebbero molto diversamente, però, se il Consiglio decidesse di rinviare la decisione sino al primo agosto e così di fatto, grazie alla pausa estiva, sino ai primi di settembre. La partita con la Ue si giocherebbe a quel punto sulla legge di bilancio, i rischi di rottura tra Lega e 5S sarebbero comunque alti, con il fiato di Bruxelles sul collo, e l'eventuale procedura renderebbe la crisi più o meno inevitabile. Ma in settembre, a differenza che in luglio, il Colle non resterebbe spettatore e tenterebbe di ' verificare' la possibilità di una maggioranza alternativa per evitare elezioni in novembre. Avrebbe gioco facile perché l'ipotesi di una corsa dal voto alla formazione del nuovo governo al varo della legge di bilancio nel giro di poche settimane è praticabile ma poco realistica e a quel punto, inoltre, i mercati si sarebbero probabilmente già fatti sentire in agosto o al momento della crisi.

Per i 5S il dilemma sarebbe lacerante. Di Battista e l'ala ' movimentista' impugnerebbero probabilmente la bandiera della guerra ai governi tecnici, ma Di Maio, con il suo intero destino politico sul tavolo, sarebbe di parere diverso e con lui la massa di parlamentari che vedono poche speranze di rielezione. La drammaticità della situazione da un lato, le pressioni del capo dello Stato dall'altro, renderebbero quasi impossibile negare almeno un ponte n grado di portare a compimento la legge di bilancio. Bisogna tenere conto anche del fatto che comunque non potrebbe probabilmente essere il governo Conte a gestire la fase elettorale e il Quirinale sfrutterebbe di certo la necessità di trovare una maggioranza a sostegno di un ' governo per le elezioni' per prolungare almeno di qualche mese la vita di quel governo. E se poi i mesi dovessero diventare parecchi, la cosa, in una situazione da allarme rosso e conti allo sfascio, apparirebbe quasi ovvia.

Neppure il Pd potrebbe opporsi. I renziani, che figurano come baluardo contro ogni ipotesi di accordo con i 5S, temono in realtà quasi quanto Di Maio le elezioni e troverebbero il modo di chiudere un occhio sull'innominabile alleanza.

Zingaretti dovrebbe fare buon viso a cattivo gioco, non potendosi assumere la responsabilità di quello che verrebbe certamente prefigurato come un disastro. E' vero che Fi, in nome dell'alleanza con la Lega e dovendo evitare la rottura interna con Toti, potrebbe spingere invece verso il voto ma, con il supporto di una certa quantità di parlamentari impegnati soprattutto a evitare il mesto ritorno a casa, una maggioranza a sostegno del governo tecnico verrebbe quasi certamente fuori.

A quel punto l'intero corso della legislatura cambierebbe di segno.

Perché un governo tecnico non sostenuto dalla destra significherebbe consegnare a Salvini una vittoria facile e trionfale. Rinviare non di mesi ma di anni l'apertura delle urne diventerebbe a quel punto, per i partiti della eventuale nuova maggioranza, imperativo categorico.