Iforzisti superstiti se la vendono come il miracolo di san Silvio, la mossa geniale e imprevista che non solo ha evitato in extremis una scissione che pareva già scritta ma, senza chiudersi in difesa, passa all'attacco, rilancia il partito, può riportare il partito azzurro al centro della scena. In realtà la scelta ' unitaria', la nomina dei due acerrimi nemici Mara Carfagna e Giovanni Toti, a coordinatori del partito sino al congresso d'autunno, affiancati dal board composto da Tajani e dalle capogruppo Bernini e Gelmini, è una pecetta.

Non basterà a tenere insieme progetti strategici opposti, rappresentanze d'interessi territoriali, il nord di Toti e il sud di Carfagna, a volte inconciliabili, visioni prospettiche conflittuali nel cuore del partito azienda, a Mediaset. Non troppo a lungo almeno. Ma questo Berlusconi lo sa perfettamente. Ha deciso di cogliere al balzo la palla offertagli dalle porte chiuse che Toti ha trovato sia in via Bellerio che presso sorella Giorgia recuperandolo per i capelli perché è convinto che al congresso d'autunno non ci si arriverà mai. Si voterà prima.

I calcoli e i piani di battaglia dell'uomo che per oltre due decenni è stato il fulcro della politica italiana e che si ritrova ora sbalzato ai margini si basano tutti su questo assunto: il voto a settembre. Su cosa si basi la certezza di Berlusconi non è chiaro. Di certo i colloqui con Salvini degli ultimi mesi e settimane hanno corroborato e forse determinato la convinzione sulla quale Arcore basa le proprie strategie ma il capo leghista, si sa, a modo suo è una sfinge. Cosa voglia davvero e cosa progetti realmente non lo sa nessuno.

In ogni caso, se le urne si apriranno davvero in settembre, Berlusconi ha bisogno di un partito unito per affrontarle. Anche in quel caso, i conti del Cavaliere si basano su una previsione la cui fondatezza è in realtà fragile: quella che, alla fine, Salvini, in caso di voto a breve, opterebbe per la conferma dell'alleanza di centrodestra. Fi si presenterebbe in questo caso come contrappeso ed elemento di riequilibrio rispetto all' ' estremismo' del capo leghista e di FdI, ma anche come possibile cerniera con quelle istituzioni, soprattutto europee, la cui fiducia in Matteo Salvini è sotto lo zero.

Ieri i due coordinatori si sono visti, per la prima volta nelle loro nuove vesti. Hanno tenuto a bada la reciproca insofferenza, che tuttavia corre sotto pelle. L'assemblea del Brancaccio del 6 luglio è confermata, Toti parla di «gigantesco passo avanti» per far ridiventare Fi «un partito che sa parlare alla gente e risolvere i problemi della gente». Truppa e alti ufficiali si spellano le mani per la celta del capo con dichiarazioni uscite dalla fotocopiatrice. Nessuno, neppure sotto feroce tortura, ipotizzerebbe un orizzonte diverso dalla «ricostruzione del centrodestra».

La nota dolente è che, come nel Pd e persino più che nel Pd, un'analisi del perché il partitone di un tempo abbia perso la sintonia con il suo un tempo oceanico elettorato non la rintracci neppure con la lente d'ingradimento. Alla fine, anche se nessuno lo confesserebbe, la diagnosi è scarna e ridotta all'osso: Fi era Berlusconi e l'inevitabile declino del grande comunicatore implica quello del suo partito- megafono.

In parte, anche se non del tutto, la diagnosi è esatta. Il che però implicherebbe l'obbligo di dotare il partito azzurro di una nuova identità, forse per la prima volta di un'identità politica svincolata dalla presenza del capo, fondatore, frontman e proprietario. Tra i due diarchi, ma anche nell'intero gruppo dirigente, Mara Carfagna sembra essere quella che più degli altri si rende conto di questa urgenza e prova a individuare i tratti di una possibile identità politica futura.

Mira a un partito che socialmente si assuma il compito di rappresentare e difendere il ceto medio impoverito, che assuma i temi ecologisti, mai come in questo momento in cerca di rappresentanza nella penisola, e faccia del Green New Deal un cavallo di battaglia, che coniughi l'ispirazione liberale, per la verità rimasta nel partito azzurro più petizione di principio che altro, con una difesa dei diritti che per certi versi ricorda un po' l'ispirazione pannelliana. E' una sfida che la vicepresidente della Camera può vincere, ma con ostacoli enormi.

Il primo è la natura stessa di Forza Italia, partito nel quale hanno sempre convissuto ispirazioni, pulsioni e interessi sociali molto diversi, tenuti nsieme dalla sola figura del capo assoluto. Il secondo è il mai risolto rapporto tra l'azienda e il partito che dell'azienda è sempre stato, in misura più o meno marcata, il braccio politico. Oggi l'interesse dell'azienda non implica più necessariamente il rafforzamento del partito: forse perché, come sussurrano voci insistenti, la proprietà considera seriamente la possibilità di vendere in tempi non biblici, forse solo perché pragmaticamente si rende conto di doversi oggi affidare a un'alleanza, quella con la Lega, più che a una rappresentanza diretta. Di fatto Marina e Fedele Confalonieri, come Licia Ronzulli, hanno giocato in questi ultimi mesi sempre e solo a favore dell'alleanza a tutti i costi, anche in posizione subordinata, con la Lega.

La sfida per l'identità futura del partito azzurro sarà inevitabile se le previsioni del capo si riveleranno sbagliate e in autunno le urne resteranno chiuse. In caso contrario l'esito delle elezioni, qualunque esso sia, rivoluzionerà la scacchiera creando una situazione comunque del tutto nuova, nella quale i ' cavalli di razza' della scuderia Berlusconi, Mara e Toti, dovranno inventare un nuovo schema di gioco.