Ci sono molti modi di analizzare un successo elettorale, perfino in consultazioni che riguardavano un tema eluso ( l’Europa) e con i risultati utilizzati per fini diversi ( resa dei conti nella maggioranza). Tra i meno scontati c’è capire cosa il trionfatore - chapeau a Matteo Salvini, la Lega viene dopo - lascia dietro di sé, irrisolto.

Se passiamo al setaccio della dislocazione territoriale la valanga di voti riversatisi sul Carroccio, è impossibile non rilevare come il messaggio comunicativo del titolare dell’Interno abbia espugnato le periferie e, al contrario, si sia arreso dinanzi alle metropoli. Nel Nord- est, la Lega è al 40 per cento (in Veneto quasi al 50, in Emilia- Romagna al 33 contro il 31 del Pd); nel Nord Ovest idem. Il boom vero è nell’Italia centrale (Lega al 33, Pd al 27 e M5S al 16: clamorose le vittorie in Umbria e nelle Marche). Nel Mezzogiorno l’M5S va meglio: è il primo partito a Napoli. Però staziona al 29 per cento e la Lega lo tallona al 23, col Pd fermo al 18.

In questo semi- plebiscito, tuttavia, spicca il fatto che le grandi città del Nord e del Centro sono in mano al Pd: a Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma (!) Bari e perfino Cagliari, i Democratici sono primi con percentuali in svariati casi doppie rispetto a quelle leghiste.

Che significa tutto questo? Senza inoltrarsi in meandri sociologici, Salvini ha sfruttato al massimo la rabbia e il rigetto verso tutto e tutti dei forgotten men, i tanti che stazionano nelle periferie, le conurbazioni dove la vita è inesorabilmente agra. Un proletariato di ritorno che a suo tempo si affidava al Pci, poi passato armi e bagagli alla destra, gonfiato le vele grilline e ora cerca rappresentanza e riscatto nella vena securitaria del vicepremier leghista. Per converso, quei luoghi sono stati abbandonati da decenni dalle forze progressiste e/o liberali in quanto giudicate poco ospitali, per nulla cool, opposte ai soffi intriganti di modernità e avanzamento che la globalizzazione prometteva e squadernava.

Per cui la lezione è doppia. Se Salvini vuole governare sul serio, deve entrare in contatto con l’establishment dei grandi centri. Se chi lo contrasta vuole sconfiggerlo deve fare, ovviamente da sponde opposte, lo stesso.