«Non ho mai capito perché le elezioni europee dovrebbero cambiare il Parlamento italiano». Sta tutta in queste parole il senso della partita che domani si disputerà dentro le urne. L'ostinazione con cui Luigi Di Maio sminuisce la ricaduta italiana delle elezioni europee fa intuire la reale portata dell'appuntamento di domenica.

In palio non c'è solo Strasburgo, ma anche Palazzo Chigi. E il leader 5s, che ha giocato l'intera campagna elettorale all'attacco dell'alleato lo sa bene. Il Movimento 5 Stelle, a questo giro, deve accontentarsi di giocare in difesa. Obiettivo primario: “contenere le perdite” ( date per scontate da tutti i sondaggi) rispetto alle Politiche di un anno fa e arginare il più possibile l'avanzata salviniana. Perché domenica non andrà in scena solo un derby tra i partiti di governo, a sfidarsi saranno anche due declinazioni di populismo: l’antipolitica contro il sovranismo.

Il primo, un po’ intorpidito da un anno di potere, il secondo, nel pieno vigore della spinta antieuropeista. E se Di Maio si è un po’ “imborghesito”, Salvini ha utilizzato i primi mesi di Viminale come una ribalta politica, al servizio di una campagna elettorale permanente.

«Il M5S ha il 36 per cento del Parlamento italiano, ha la maggioranza assoluta in Consiglio dei ministri e così rimarrà, io non intenzione di parlare di poltrone da lunedì ma di chiedere abbassamento delle tasse per le imprese e per le famiglie, salario minimo orario da realizzare, il decreto Famiglia, la legge sul conflitto di interessi», insiste il capo politico pentastellato, quasi a esorcizzare il terrore di finire sotto scacco del Carroccio già da lunedì, quando i rapporti di forza, inevitabilmente, muteranno.

«Negli ultimi giorni c’è stata una sequela di insulti contro di me, me ne dice di tutti i colori. Mi insulta un giorno sì e un giorno sì...», replica ironico Matteo Salvini, con la spocchia di chi sa di presentarsi alle elezioni col vento in poppa. «Capisco che Di Maio è un po’ nervoso, visto che gli ultimi sondaggi che danno la Lega primo partito, ma non ho tempo per le polemiche, gli insulti e vado avanti», aggiunge il ministro dell’Interno, giocando con i nervi dell’alleato. Salvini sente il risultato storico alla portata: nel 2013 ha ereditato un partito del 4 per cento, lacerato dagli scandali di Bossi e Belsito, sei anni dopo la Lega ( non più Nord) potrebbe diventare la prima forza italiana, se non anche europea.

Il Movimento 5 Stelle, senza neanche un gruppo già costituito a Strasburgo, spera invece di non scendere sotto il 25 per cento per poter cantare vittoria ( almeno rispetto alle Europee del 2014) ma punta a rimanere sopra il 20 per non affrontare una disfatta. Il trionfo delle Politiche, con quel roboante 32 per cento, non è ripetibile, del resto, tanto vale puntare alla sopravvivenza. Non solo politica, ma anche personale: quella del leader e quella di un terzo dei parlamentari grillini. Perché su di Di Maio e compagni pende la tegola del vincolo dei due mandati, su cui Davide Casaleggio non sembra intenzionato a concedere deroghe. La paura di tornare a casa dopo sei anni vissuti dentro i Palazzi si trasforma così in un’arma contrattuale in più in mano a Salvini per condizionare il governo.

«Io mi auguro che da lunedì i leghisti lavorino di più. Credo ci sia stato in queste settimane un atteggiamento, da parte della Lega, di accusa dei ministri 5 stelle ma loro non hanno seguito quei dossier», ripete il ministro del Lavoro, approfittando degli ultimi scampoli di campagna elettorale per colpire il socio di maggioranza. «Dicono che i cantieri sono bloccati e poi stanno a braccia conserte. Certo se c’era a seguire il dossier infrastrutture c’era Siri...».

Il capo del Movimento fa quello che può, consapevole che il braccio di ferro con l’alleato non si dipenderà solamente dall’esito delle Europee. Perché domani molti italiani saranno chiamati a rinnovare anche 3.800 comuni e il consiglio di una Regione importantissima come il Piemonte. E a livello locale, si sa, il M5S non brilla certo per competitività. A differenza, ancora una volta, del Carroccio, che se vincesse anche in Piemonte prenderebbe il controllo praticamente di tutte le regioni del Nord, dopo Lombardia, Veneto e Friuli, a cui si potrebbe aggiungere la Liguria di Toti.

Secondo tutti i pronostici la sfida sarà tra centrodestra e centrosinistra, con i pentastellati parecchio staccati a guardare. E la situazione non migliora di certo se dalla Mole ci si sposta ai singoli comuni. Al voto andranno gli abitanti di città importanti. Capoluoghi di Regione come Firenze, Bari, Perugia, Cagliari ( il 16 giugno), Potenza e Campobasso. E capoluoghi di provincia altrettanto “pesanti” come Bergamo, Foggia, Lecce, Livorno, Modena, Reggio Emilia e Sassari. In nessun Municipio i grillini sono dati per favoriti. Solo a Livorno, dove pure l’uscente Filippo Nogarin ha scelto di candidarsi per le Europee, il M5S potrebbe giocarsi la vittoria affidandosi alla vice sindaca in carica.

E se Salvini si affida alla Madonna per conquistare l’Europa, Di Maio spera di non pentirsi di aver fatto da “taxi” (di terra) al Carroccio.