Primo: siete ricchi. E quindi avete sbagliato voi a intestardivi in una causa per il recupero di una somma irrisoria (vista la vostra «condizione reddituale» ), pari a 694,84 euro. Secondo, siete avvocati. E in quanto tali abituati alle lentezze del sistema giustizia. Sapevate benissimo cioè che per recuperare i vostri 700 euro scarsi ci avreste messo un sacco di tempo. Ve la siete cercata. Quindi non meritate alcun risarcimento per l’irragionevole durata del processo civile, andato avanti per circa dieci anni.

Non ha utilizzato affatto parole così sbrigative, un giudice della Corte d’appello di Napoli, settima sezione civile, nel rigettare le «pretese» di due professionisti del capoluogo campano. Non è stato così sprezzante. Ha citato sentenze della Cassazione, tanto per fare un esempio, quali precedenti utili ad avvalorare l’idea, cruciale nella stesura del “decreto di rigetto”, in base alla quale se uno ha lo studio «in Napoli alla via Carducci» è sicuramente benestante. Il magistrato in questione, per carità, ha redatto un “provvedimento decisionale”, non uno sberleffo da spettacolo di satira.

Eppure i concetti richiamati nel decreto sono proprio quelli, incredibili, tradotti in modo sbrigativo all’inizio. E sono francamente un condensato di affermazioni sconcertanti. Vittime del rigetto- choc sono Sara Santochirico e Alessandro Faggiano. Due civilisti napoletani. Hanno lo studio nella ricordata via Carducci. Zona Chiaia. Mai avrebbero immaginato che scegliersi la sede professionale in un quartiere simile - che poi è comune a tantissimi professionisti napoletani avrebbe potuto tradursi in una specie di “colpa”. O quantomeno in un pregiudizio sfavorevole.

Fatto sta che i due avvocati erano stati «nove anni, sette mesi e venticinque giorni» in causa con l’Inps. Due gradi di giudizio: il primo davanti al Tribunale di Nola, il secondo in Corte d’appello. Nel frattempo la loro vita è certamente evoluta sotto tanti aspetti. Ma dal settembre 2007 al febbraio 2018 quella causa con l’Inps è rimasta sempre lì. Si trattava di un credito che Santochirico e Faggiano intendevano recuperare dall’istituto di previdenza.

A fine primo grado vengono loro offerti 988,83 euro. Li accettano «solo ed esclusivamente in conto maggiore avere», e fanno appello per recuperare gli altri 694,84 euro che si ritenevano, giustamente, in diritto di ricevere. Nel frattempo trascorre così tanto tempo che i due legali maturano anche il diritto all’equa riparazione per «violazione del termine di durata ragionevole del processo».

Ricorrono in Corte d’appello per ottenere il risarcimento, e appunto arriva il decreto di cui sopra. La lesione per l’eccessiva attesa è, per il giudice, «insussistente», in quanto il procedimento avrebbe sforato i termini solo per la «pretesa» dei due professionisti nel veder riconosciuto un diritto. Va «tenuto conto dell’irrisorietà del valore della causa» (i quasi 700 euro) e le «condizioni personali dei richiedenti». Non solo, ma anche della «loro qualità di avvocati ( dunque abituati alle lentezze del sistema giudiziario» ). E stavolta i virgolettati non sono una parodia. Sono quelli del provvedimento. Che ci crediate o no.