Uno degli aspetti più paradossali del caso di Vincent Lambert – l’uomo cui solo un intervento in extremis della Corte d’Appello di Parigi ha evitato la morte per fame e per sete - è il silenzio dei paladini dell’autodeterminazione. Non solo infatti non si tratta di un malato terminale sottoposto a cure sproporzionate ma di un disabile grave che viene semplicemente idratato e alimentato; il punto ulteriore è che di Lambert non esiste una manifestazione di volontà pregressa.

E allora, di fronte alla prospettiva dell’uccisione di un uomo cagionata da una decisione altrui, peraltro con la strenua opposizione di genitori e fratelli pronti a prendersene cura, i primi a insorgere avrebbero dovuto essere proprio coloro che della trasformazione dei desideri in diritti hanno fatto il loro vessillo ideologico. Il paradosso è in realtà assai rivelatore, e non inedito.

Per far morire Eluana Englaro si era accettato ad esempio che un tribunale ricostruisse ex post, attraverso presunti “stili di vita”, una volontà mai ufficialmente espressa. Nel caso dei bambini inglesi come Charlie Gard o Alfie Evans si è arrivati a forme di coercizione estrema per impedire ai genitori di tentare una cura per i propri figli.

Il tratto costante è che la volontà soggettiva assurge a principio assoluto e quasi sacrale quando indirizzato verso una prospettiva di morte – come nel caso del dj Fabo –, mentre diviene elemento da trascurare o addirittura da contrastare quando si erge a difesa di una vita i cui standard qualitativi vengono giudicati “non degni”. Ciò dimostra che in gioco non c’è una rivendicazione di libertà ma la presunzione fatale di poter tutto determinare, tutto pianificare, tutto controllare, fino a stabilire che vi siano vite degne di esse vissute e vite non degne neppure di essere considerate tali.

C’è un giudice a Parigi, e questo giudice ha impedito che il disabile Vincent Lambert fosse ucciso per fame e per sete. La vasta indifferenza con cui tuttavia questa vicenda è stata accolta dalla civilissima Europa la dice lunga sul grado di assuefazione a una deriva antropologica che rischia di sovvertire non solo i princìpi della nostra tradizione cristiana, ma anche i fondamenti dell’umanesimo occidentale.

La speranza è che la stessa assuefazione non abbia la meglio anche nel nostro Paese, sul quale, in assenza di un intervento del Parlamento, incombe la minaccia di un’eutanasia imposta per sentenza attraverso la depenalizzazione dell’aiuto al suicidio ad opera della Corte Costituzionale. I segnali sono preoccupanti e la data è già fissata per il prossimo 24 settembre. Restare inerti non sarebbe un atto neutro: significherebbe siglare preventivamente la resa.