Forse la novità del Consiglio dei ministri a rate, l’ultimo prima del voto europeo, ha incerottato il rapporto scaleno Conte- Salvini- Di Maio. Ma i fatti delle ultime 48 ore, compresi gli scontri tra il Viminale e il Pm di Agrigento - con annessa richiesta di scendere in piazza da parte di autorevoli ex giudici - inducono a rivolgere una preghiera semplice e diretta a tutti i protagonisti del confronto politico- sociale- giudiziario: basta così, ora diamoci una calmata. Giocare agli incendiari non ha mai portato nulla di buono. E non aiuta in un momento così delicato, alla vigilia di un voto europeo da molti giudicato decisivo non solo per la Ue ma anche per gli equilibri politici nostrani, dove al contrario razionalità, pacatezza e senso dell’equilibrio sarebbero non solo utili ma doverosi.

Andiamo al dunque. Il ministro dell’Interno può avere o meno ragioni nel criticare l’operato di un magistrato che, comunque, si è mosso entro i confini delle sue prerogative. Come pure può essere all’inverso contestato - anche qui più o meno a ragione - al medesimo magistrato di aver forzato i confini delle sue competenze, tracimandone, quasi a voler “sfidare” il potere politico. Ma mai e poi mai è possibile sentire un membro del governo rivendicare che «se c’è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina chiunque agevoli gli sbarchi dovrà vedersela con la legge».

Se quella fattispecie di reato esiste lo devono stabilire i giudici, nessun altro: è il discrimine della divisione dei poteri in uno Stato di diritto. Allo stesso tempo è sconcertante sentire un ex magistrato - anche qui indipendentemente se a torto o a ragione - che si scaglia contro un titolare di dicastero chiedendo «se necessario» (ma chi lo stabilisce? quando? dove?) di «scendere in piazza in loro onore». La piazza contro il Palazzo? E il Palazzo contro il potere giudiziario? Davvero, non scherziamo.

Né lo faccia la maggioranza gialloverde. Il 26 maggio non è l’Armageddon, non finisce il mondo. Il giorno dopo l’Italia sarà sempre lì, con i suoi problemi e la necessità di risolverli. Sarebbe il caso di seguire l’indicazione di Sergio Mattarella: «Obiettivo della Repubblica è sanare le fratture nella società». Sanarle: non allargarle.