La commozione provocata dalla morte di Gianni De Michelis ha giustamente concentrato l’attenzione sulla sua straordinaria personalità. Vale la pena, però, collocare l’esperienza politico- culturale di De Michelis nella storia del PSI conclusasi drammaticamente fra il 1992 e il 1994. Alle elezioni del 1976 il PSI ebbe il suo minimo storico, il 9,6%: il rischio della scomparsa era altissimo. Quel risultato provocò la rivolta del Midas che nel 1976 portò alla segreteria di Bettino Craxi eletto da parte di una maggioranza assai eterogenea costituita dagli autonomisti nenniani, dai giovani lombardiani ( Signorile, De Michelis, Cicchitto e altri), da una dissidenza demartiniana ( Enrico Manca, Salvatore Lauricella). Si trattò di una rivolta generazionale e di una rifondazione politico- culturale. Bettino Craxi parlò esplicitamente di riformismo, di liberalsocialismo, dell’Internazionale Socialista, del totalitarismo comunista e sostenne, anche finanziariamente, tutte le dissidenze, dal dissenso in URSS e nei paesi comunisti, a coloro che in Spagna e poi in Cile erano contro le dittature di destra, ai palestinesi. Oltre a Craxi ci fu l’affermazione di alcune forti personalità, da De Michelis, a Martelli, agli esponenti della sinistra lombardiana. Sia Craxi che De Michelis, in polemica con la Thatcher, erano per la costruzione dell’Europa, ma per un’Europa diversa da quella ipotizzata dai tedeschi. Sul terreno più strettamente politico quel PSI condusse una sorta di “guerra corsara” sia nei confronti della DC, sia nei confronti del PCI. Insomma il PSI divenne una specie di crogiuolo di fermenti culturali, politici e sociali spesso innovativi, talora velleitari. Tutto ciò veniva finanziato senza guardare troppo per il sottile, in modo regolare e in modo irregolare. Ma allora tutti i partiti si finanziavano in modo irregolare: quello che aveva il finanziamento più irregolare di tutti era il PCI che sommava insieme il finanziamento sovietico, quello dell’ENI, quello delle cooperative e quello delle tangenti dei privati. Di conseguenza quando Berlinguer in un’intervista a Scalfari aprì la cosiddetta questione morale rivolta anche contro la corruzione dei partiti ( ovviamente gli “altri partiti”, perché il PCI era un partito diverso, dalle mani pulite) cavalcò un’autentica mistificazione che però nel futuro avrebbe avuto effetti devastanti per la democrazia italiana. Così si arrivò alla fase 1989- 1991, quella segnata dal crollo del comunismo in URSS e nei paesi dell’Est. Per un verso Craxi e quasi tutto il PSI attesero fiduciosi che “ritornasse Godot”: Godot era la presidenza del Consiglio che ovviamente poteva arrivare solo in seguito ad un rinnovato accordo con la DC. Ma Craxi considerò che il crollo del comunismo sovietico e lo stesso cambio del nome del PCI avrebbero portato al riconoscimento della sua leadership anche da parte del PCI, ragion per cui favorì l’adesione del PDS all’Internazionale Socialista e commise il tragico errore di non provocare le elezioni anticipate nel 1991, così come le sollecitava il presidente Cossiga. In quell’occasione Craxi, il leader socialista in un certo senso più anticomunista, fece una valutazione sul PCI- PDS del tutto sbagliata per il suo ottimismo: solo la minoranza migliorista ( Chiaramonte, Macaluso, Napolitano) dava al cambio del nome il senso di approdare all’unità socialista con il PSI. Invece Occhetto puntava ad una fuoriuscita “da sinistra” dal PCI con il recupero delle tematiche ingraiane. Per parte loro D’Alema e i “ragazzi di Berlinguer” fecero la scelta del cambio del nome per ragioni di realismo politico, ma ritenevano che il PDS doveva occupare lo stesso spazio del PSI, ma non unendosi ad esso, bensì in qualche modo sostituendolo. L’occasione fu offerta da Mani Pulite. Mani Pulite nacque al di fuori del PDS ad opera del pool di Milano e di una rete mediatica costituita dai quattro direttori dei principali quotidiani ( Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Unità), che negli anni ’ 92-’ 94 si consultava alle 19 di ogni sera, dal TG3 e da trasmissioni come Samarcanda. Ora, Tangentopoli era un sistema di finanziamento irregolare che coinvolgeva tutti i grandi gruppi privati e pubblici ( in primis la Fiat, la Cir e l’Eni) e tutti i partiti, PCI compreso. Invece Mani Pulite e il circo mediatico decisero di fare un’operazione selettiva: distrussero il centro- destra della DC, tutto il PSI, i partiti laici, salvando il PDS e la sinistra democristiana. In quel quadro Bettino Craxi e Gianni De Michelis furono i primi di un’autentica lista di proscrizione. A quel punto Craxi fece alla Camera un discorso di verità, ma nessuno lo raccolse. Non lo raccolse ovviamente il PDS che dal pool di Mani Pulite aveva un salvacondotto, ma per cecità non lo raccolse neanche la DC, sicura (“dottrina Gava”) che la consegna di Bettino Craxi “ad bestias” avrebbe soddisfatto e fermato il giustizialismo. Avvenne invece l’opposto e Gava, Forlani, Andreotti, insieme a molte centinaia di altri parlamentari democristiani finirono al mattatoio. Così l’anomalia italiana dopo essere stata caratterizzata dall’esistenza del più forte partito comunista dell’Occidente ha avuto un altro exploit: solo in Italia è avvenuto che ben cinque partiti sono stati azzerati non dal voto degli elettori, ma dall’iniziativa di magistrati che, a parità di reati, salvò invece una parte del sistema politico. Così nei confronti di due uomini di Stato di grande statura come Craxi e De Michelis fu effettuata un’operazione di demonizzazione con meccanismi simili alla logica che ispirò piazzale Loreto: Craxi fu rappresentato come “il cinghialone” da abbattere senza guardare troppo per il sottile e De Michelis come “l’unto” da inseguire per le calli di Venezia. Il partito non ha retto all’urto, ma grazie alla Fondazione per il Socialismo e a Mondo Operaio è riuscita un’operazione quasi impossibile: grazie ai dieci volumi dedicati a Craxi e al PSI degli anni 1976- 1994 è stato possibile elaborare una storia alternativa a quella dei vincitori, che solitamente è l’unica che rimane in campo.