Il libro scritto a due mani da Angelo Panebianco e Sergio Belardinelli (“All’alba di un nuovo mondo”, Il Mulino) ci aiuta davvero molto a scoprire gli elementi essenziali del nascere di un’epoca nuova, mescolati e confusi ancora a quelli di un mondo che sta tramontando.

Direi che il secondo saggio, quello di Belardinelli, illumina il primo, quello di Panebianco, rivelandone la trama più profonda e nascosta. Sta nella stanchezza sia della politica sia della religione, secondo Belardinelli, il vero problema dell’Europa di oggi.

Se è vero, come scrive Panebianco, nella prima parte del libro, che “solo un ordine liberale, nel mondo attuale, può avere un’autentica vocazione universalistica”. E che questo mondo liberale non può che consistere in un rilancio dei legami interatlantici e una ripresa dell’integrazione europea su basi nuove. Se questo è vero, allora proprio “l’universalismo della ragione e della religione cristiana rappresenta la carta culturale vincente per venire a capo dei grandi problemi del mondo globale”. Belardinelli aggiunge che anche per la Chiesa cattolica si pone il problema di riflettere sulla necessità di non accantonare il proprio radicamento europeo, senza che in qualche mondo ne risenta la sua natura, il suo patrimonio istituzionale, dottrinale e pastorale. “L’Europa che abbandona la Chiesa e la Chiesa che abbandona l’Europa rappresentano lo svuotamento della “vitalità” di entrambe le città”.

La lettura di questo libro prezioso, suscita una domanda di fondo: esiste ancora la possibilità, soprattutto in Europa, che la fede torni a essere una forza vitale, che uomini e donne tornino a credere in Dio e a vivere come se la sua esistenza non fosse in dubbio. A questa questione essenziale, Belardinelli – citando Leo Strauss e Joseph Ratzinger – argomenta che il mondo ha senso soltanto perché è stato creato da Dio, e che “soltanto un Dio onnipotente e amoroso può pretendere la nostra fede”. Ecco, questo è il punto. È davvero possibile, oggi, nel nostro tempo, dopo le tragedie disumane dei campi di concentramento originate dalle ideologie del male nate proprio nell’Europa cristiana, che la rinascita della fede passi attraverso quest’adesione a un Dio onnipotente e amoroso? Io temo di no. In primo luogo perché la nostra fede, quella che sopravvive a tutti i nostri dubbi e disperazioni, non è più disposta a credere in questo Dio, del quale anzi riconosce l’impotenza e la necessità di essere soccorso dal “nostro” amore.

Questa fede forse è debole, insufficiente a sostenere una forte identità, esposta al relativismo, irenica e tinta di socialità. Tuttavia, questa è l’unica fede di cui disponiamo. Una fede che, pur nella sua fragile costituzione teologica e culturale, incontra il mondo, incontra le persone in cerca di un senso da dare alla propria vita, incontra le tante disperazioni e solitudini del nostro tempo, incontra l’anelito alla libertà di cui ognuno di noi dispone, pur in un mondo in cui non è detto che la libertà prevalga rispetto alla dura scorza della realtà. Questa fede – se esiste – è destinata a miscelarsi con altre culture, altre religioni, altre civiltà, dando vita a qualcosa d’imprevedibile, come imprevedibile è sempre stata ed è la storia umana. Questa fede – questa è la mia opinione – sarebbe più forte di quella che appare, se la Chiesa aprisse alle energie dei giovani e delle donne, aprendosi a un rinnovamento totale e radicale. La pesante coltre dottrinale della Chiesa oggi si accompagna alla gerontocrazia della sua organizzazione interna.

L’energia che l’ingresso delle donne e dei giovani nella Chiesa sprigionerebbe sarebbe davvero tale da generare un rinnovamento profondo della fede, una fioritura della fede di cui potrebbe avvantaggiarsi – come scrive Belardinelli – altri sistemi sociali. Il futuro comunque è aperto, e se c’è una provvidenza nella storia, essa agirà al di là delle nostre intenzioni.